sabato 30 giugno 2018
La rivoluzione politica in corso in Italia (e quella che probabilmente si abbatterà in Europa dopo le elezioni del maggio 2019) consiglierebbe di abbandonare la classica distinzione destra-sinistra, per cercare nuove categorie più vicine alle istanze e agli interessi degli italiani. Analizzando a fondo la realtà della società italiana, si potrebbero individuare oggi due entità contrapposte molto più interessanti: il "Partito del Pil" o, meglio, il "Partito dello Sviluppo" contro "il Partito della Spesa".
Il primo è costituito da chi produce il reddito dell'Italia: imprenditori e lavoratori, manager e professionisti (in un'accezione più ampia di quella usata da Dario di Vico, cui è giusto attribuire la paternità della definizione "Partito del Pil"). Si tratta – contrariamente a quanto si potrebbe immaginare – della netta minoranza del Paese: 23 milioni di persone, rispetto ai 60 milioni che compongono la popolazione italiana. Se quasi 21 milioni non potrebbero in alcun modo far parte del "Partito dello Sviluppo" per ragioni anagrafiche (perché hanno meno di 15 anni o più di 64 anni), c'è invece un esercito di potenziali membri di questo Partito – 14 milioni di concittadini, il 23% della popolazione – che hanno deciso di tirarsene fuori: perché sono inattivi, pur avendo l'età per lavorare.
Il "Partito della Spesa" ha contorni decisamente più sfumati, non è facile individuare con esattezza la lista dei suoi iscritti. Per perimetrarlo meglio, è giusto riferirlo alle fonti di spesa "improduttiva" per lo Stato: dalla quantità indefinita di evasori ed elusori fiscali alle decine di migliaia di beneficiari di falsi assegni d'invalidità, dagli imprenditori che diventano esclusivamente prenditori di incentivi pubblici ai lavoratori improduttivi annidati (soprattutto, ma non solo) nelle Amministrazioni pubbliche.
La sfida tra i due Partiti è vitale per i destini del Paese. Non prevede alcun responso popolare, perché si consuma ogni giorno sui luoghi di lavoro e nei rapporti tra Stato e cittadino. Ma le scelte del Governo sono decisive per rafforzare l'uno o l'altro. Per dare al "Partito dello Sviluppo" la forza di moltiplicare investimenti, servizi, produzione e produttività, creando nuove occasioni per chi punta solo sulla forza della fatica e dell'impegno, o per dare al "Partito della Spesa" la possibilità di mantenere ingiuste rendite di posizione e quindi di continuare a rubare agli altri una parte di futuro.
Sono convinto che essere al Governo nell'era dell'anti-casta, e del tramonto dell'idea degli optimati alla guida delle istituzioni, possa nella migliore delle ipotesi difendere e aiutare il "Partito del Pil". E spero che questo Governo possa dimostrare con i fatti di esserne capace. Perché se invece si rivelasse il contrario, vorrebbe dire che gli italiani hanno scelto (inconsapevolmente) di fare un clamoroso salto all'indietro, tornando a quelle stesse politiche che hanno contribuito a determinare la fine della Prima Repubblica.
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