mercoledì 30 ottobre 2019

È appena calato il sipario su "Golosaria", che è una manifestazione milanese che mi coinvolge direttamente, e mi ha in qualche modo colpito quest'anno la reazione dei media, tivù e giornali, che hanno voluto entrare come mai è accaduto nel merito del tema che abbiamo lanciato: il cibo che ci cambia. Come se fossimo in una congiuntura ideale, dal punto di vista culturale, per percepire i messaggi che vanno nella direzione di un corretto stile di vita. Alcuni esempi. Il primo produttore italiano di zenzero bio ha terminato il prodotto in pochissimo tempo: tutti lo volevano, come se già si sapesse che zenzero e curcuma fanno bene. Ma così quel produttore di succhi di melograno venuto dalla Sicilia o quello che a Voghiera (Ferrara) produce l'aglio nero, secondo una tradizione radicata in Giappone. Spezie, risi integrali, lenticchie decorticate, pop corn biologici di antiche varietà di grano sino ai fermentini, ovvero anacardi e noci trattate in maniera particolare. E ancora la bresaola senza nitriti e nitrati o le cozze raccolte in acque incontaminate a Pellestrina. A Golosaria ha voluto esserci anche la Fondazione Tera col supporto della Fondazione Allianz Umana Mente per presentare un progetto dedicato all'alimentazione del malato oncologico, ovvero un sito (www.foodbamkoncology.org) dove si trovano tutte le informazioni ma anche le suggestioni di un gruppo di chef che propongono piatti con determinati prodotti; perché – ha detto a chiare lettere Gaudenzio Vanolo, segretario generale della Fondazione Tera – il cancro si combatte anche mangiando. E a questo punto mi è venuto in mente che, nonostante la confusione che si crea quando vengono messe a confronto le diverse scuole di pensiero nutrizionali dove fa audience chi la spara più grossa, sta emergendo una verità collettiva: il cibo ci può cambiare, nella misura in cui accettiamo una regola, uno stile di vita che comincia a far breccia nei vicini di casa, fra i colleghi di lavoro, fra gli amici. E qui giunge l'appello di questa settimana: come si comunica tutto questo alle fasce più povere, che proprio a causa della loro scarsa capacità di spesa sono più a rischio? Come si combatte la piaga dell'obesità, che ha una diretta relazione con l'insorgere di patologie oncologiche? Sembra paradossale che i poveri siano obesi, ma in realtà è una disordinata alimentazione che conduce a quel risultato. Detto questo, la risposta che attendiamo a queste domande mi sembra assai più preziosa della tassazione sulle bevande zuccherate o sulle merendine, proprio in un momento in cui l'industria s'è messa anch'essa in discussione, in qualche maniera, per corrispondere un sentire comune. Possiamo chiedere, magari rispolverando certi studi presentati a Expo, un po' meno demagogia e più progetti che vadano alla sostanza?

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