«A me Nuto piaceva perché andavamo d'accordo e mi trattava come un amico. Aveva già allora quegli occhi forati, da gatto, e quando aveva detto una cosa finiva: Se sbaglio correggimi. Fu così che cominciai a capire che non si parla solo per parlare, per dire: Ho fatto questo, ho fatto quello, ma si parla per farsi un'idea, per capire come va questo mondo». Anguilla era tornato dall'America nelle sue amate Langhe e ritrovava Nuto compagno di infanzia e di radici. Nei suoi panni si nasconde Pavese stesso, cui un lungo viaggiare non era servito a far dimenticare la terra di Piemonte. In questo attimo di riflessione una chicca di sapienza: lo scopo e la ragione del "parlare". Oltremodo prezioso nei giorni attuali in cui tutti parlano, ad arte, contro tutti. Il maestro è Nuto, quello che, dei due, è restato a custodire la casa della Mora, sulle colline astigiane. La parola è una barca dove insieme si procede per la traversata e quando servisse, correggendo la rotta. Si parla per capire insieme come vada il mondo e cosa fare perché vada meglio. Anche la luna merita attenzione. «La luna - disse Nuto - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi … E un vecchio come il Valino non saprà nient'altro, ma la terra la conosce».
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