Deduzioni filosofiche e prove scientifiche non saranno mai in grado di definire una volta per tutte la coscienza. Niente di grave, è nel mistero contraddittorio delle evidenze inafferrabili che gli esseri umani si compiono, uno per uno, come evento singolare e irripetibile. Coscienza non è architettura di informazioni. Elementare o complessa, arricchita di chains of thought prompting o basata unicamente su carnet di dati disponibili non fa differenza. È un salto di categoria, forse l’unico baluardo che resisterà all’avvento esplicito delle IA. Coscienza è anche un concetto che presta il fianco ad ambiguità di ogni genere dato il suo carattere peculiare e insieme profondamente compromesso con il reale.
Esempio: credo che il pc sia dotato di coscienza dello spazio. Al suo interno posso ruotare volumi e forme su 3 assi, solo uno dei paradossi dell’unico ambiente effettivamente bidimensionale che sia dato sperimentare, la trama dei pixel, praticamente priva di spessore. Attraverso le user interface dei programmi utilizzati il dispositivo digitale mostra di contenere una cognizione spaziale estremamente precisa, una coscienza dello spazio. Naturalmente e la semplificazione linguistica per identificare una sottocategoria priva di identità della coscienza, esattamente quella di cui possono essere attrezzate le IA, modulata nei vari campi di applicazione.
Lo spazio che abita lo schermo, il codice e le connessioni è una geometria del tutto inedita, si dichiara perché posso ruotare le forme, e si nega perché priva di una terza dimensione necessaria a misurare il volume. Credo sia il modo più intuitivo per inquadrare la tipologia di coscienza che le IA possono veicolare, sintassi spersonalizzante in grado di conservare tutto, compresa una grande percentuale di caratteristiche che pensiamo umane, salvo una: l’identità.
Vi sono gruppi di ricerca come la conferenza sui sistemi neurali di elaborazione dell’informazione (Neurips) da cui emergono esperienze che possono apparire sconcertanti. La scoperta delle modalità con cui le chains of thought prompting,
(suggerimenti di catene di pensiero) se opportunamente fornite ai large language models (LLMs) ne possono stimolare il ragionamento in modo esponenziale, è una di queste. Il prompt è un espediente cognitivo, una indicazione, un frammento di metodo che viene somministrato agli LLMs come una vitamina tramite dialogo testuale da un operatore, ma anche da altre IA opportunamente addestrate. Si chiude così il cerchio autoreferenziale tanto temuto per cui le IA diventano bersaglio e cecchino, contestuali o meno dipende solo dalla qualità dalla quantità di dati a disposizione. Cito al proposito una particolare sessione del 2022 in cui un gruppo di ricercatori
afferma che: “I guadagni empirici possono essere sorprendenti. Ad esempio, la richiesta di un modello linguistico a 540 parametri B con solo otto esempi di catena di pensiero (chains of thought prompting o suggerimenti) raggiunge una precisione all’avanguardia sul benchmark GSM8K dei problemi di parole matematiche, superando anche GPT-3 ottimizzato con un verificatore”. Riporto il testo così com’è non per un vezzo criptotecnologico, ma perché credo sia essenziale visualizzare il vuoto enorme che si sta creando tra noi, tutti intenti ancora al vecchio caro tema della convivenza tra macchina e uomo o al più impegnati con le immagini già standardizzate di esperimenti primitivi come midjourney, e una nuova lingua, aliena per i più, idioma di coloro che decideranno se e come in galera o all’eutanasia mi dovrà mandare un algoritmo.
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