“La memoria e il futuro” è il titolo di un libro scritto da Andrea Zaghi che racconta la storia di 11 imprese italiane, di cui la metà nel food & beverage e tutte accomunate, in qualche modo, da una propensione alla “restituzione” o sostenibilità. Ne abbiamo discusso a Parma, durante Cibus, la fiera dell'agroalimentare italiano, dove s'è messo in mostra un settore trainante della nostra economia. Ma ciò che ha fatto emergere questo lavoro di ricerca delle origini è la scoperta che la contemporaneità economica non può prescindere dalla memoria, come ha detto lo stesso Zaghi citando lo storico Fernand Braudel: «Essere stati è la condizione per essere». Per questo m'ha colpito conoscere l'attività presentata da Giancarlo Gonizzi, coordinatore dei Musei del Cibo di Parma (sono ben sette, dal pomodoro alla pasta, dal vino ai salumi e naturalmente al parmigiano reggiano), dove emerge che il fattore umano è il vero collante dell'innovazione, ieri come oggi, benché tutto ci porti a dimenticare.
Eppure questi giorni di primavera rappresentano, volenti o nolenti, proprio i giorni della memoria: la guerra lontana di 80 anni fa, gli anni del terrorismo, l'uccisione di Moro e prima ancora, 50 anni fa, l'assassinio del commissario Calabresi. Ci siamo passati: dai silenzi dei genitori che erano usciti da un conflitto mondiale alle cronache dei telegiornali. Ricordo ancora la telefonata di un'amica che piangeva perché avevano ucciso il vicino di casa di una sua compagna di scuola. Era Luigi Calabresi, che Mario, il figlio, lunedì ha ricordato davanti al presidente Mattarella, ringraziandolo proprio per la memoria che ha saputo tenere viva, contro quella normalità fin troppo repentina per cui alcuni terroristi erano diventati nuovi maître-à-penser. E ci ha parlato dell'uomo che tornava a casa nel cuore della notte e si metteva a fare le crostate per la colazione familiare del mattino dopo, perché la normalità era affermare la vita... e mai nascondersi o nascondere. Memoria è dunque l'appello di questa settimana, perché un Paese che non si preoccupa di insegnare la storia, può solo perdere la sua prospettiva.
Come nacquero le banche italiane, le cooperative agricole, ma anche gli Stati con la loro architettura giuridica? Quanto c'è da imparare affondando la conoscenza della storia, che non può essere solo appannaggio di Scuola e Università. Ricordare dev'essere un esercizio diffuso, e potrebbe rappresentare l'incipit di certi talk show sfibranti che ci vengono dati in pasto ogni sera, minando proprio il desiderio di normalità e di rispetto umano, su cui i nostri padri hanno costruito.
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