Nella mia piccola città all'inizio degli anni 40 (del '900) non c'erano più d'un paio di cinesi. Venditori di cravatte, si diceva: ambulanti che esponevano le loro merci dozzinali in cassette appese al collo; e forse ne sciorinavano anche sul braccio. Erano bersaglio di continui dileggi. In primo luogo per la loro difficoltà a pronunciare la erre: «Due lille, tle lille», gli si faceva il verso, a distanza. Pareva che la città non avesse altro da dirgli. Con una crudeltà ignara di se stessa: e nemmeno divertita, divenuta abitudine. Mentre i bambini e i ragazzi giocavano a mostrare ai cinesi un lembo piegato della giacchetta, simbolo (si voleva) dell'orecchio del maiale. La si riteneva per loro un'offesa pesantissima, dolorosa. Perché poi, non so. Le tradizioni cinesi non connettono alcuna impurità al maiale; che è anzi uno dei dodici animali accorsi a salutare il Buddha morente: gli sono dedicati uno dei cicli lunari e una serie di anni (per esempio il 2013); e come segno dello zodiaco è positivo. Quei bambini e ragazzi però volevano solo insultare il cinesino - appeso con merci difficili da vendere a un crocicchio della città, per lui straniera - oltraggiando Buddha, che ritenevano il suo Dio. Sì, eravamo cattivi, senza saperlo. E, Dio ci perdoni, chissà cosa siamo adesso.
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