Non sono ancora trascorsi due giorni, al momento in cui scrivo, dal terremoto in Centro Italia, e già la Rete dell'informazione ecclesiale ha detto moltissimo. Ad esempio, sui social media: che sono stati utili per come hanno permesso alle persone di avere e diffondere notizie e solidarietà, e che sono stati inutili per la consueta ridondanza di storie prodotte dai media mainstream e da essi, più o meno, riprodotte, oppure, al contrario, per la loro inaffidabilità rispetto, appunto, alle notizie date dalle fonti professionali.Anche se mi metto ad ascoltare quel che mi interessa, e cioè dove hanno risuonato di più la fede e la Chiesa dentro al drammatico concerto di queste ore, posso percepire ogni tono: quello delle persone (le suore vittime, i vescovi accorsi a sostenere il loro popolo), quello delle cose (i campanili e le chiese ferite) e anche quello di quanti hanno preso la parola - e li ringrazio per il bene che mi ha fatto leggerli - assommando in sé la condizione di credenti, la capacità nel comunicare e la circostanza di avere un legame diretto con i luoghi colpiti. Mentre non cessa (e come potrebbe?) di farsi udire la domanda di ogni volta: perché, Dio, e perché all'uno e non all'altro, e perché adesso? A tutto ciò le forme digitali, oltre che quella cartacea, di questo stesso giornale hanno dato ampiamente voce.Mi resta da sottolineare qualcosa di importante che il software che mi assiste in questo lavoro mi ha segnalato. Tra tutte le "notizie religiose" passate nelle prime ventiquattro ore dal terremoto, due solo hanno goduto di un significativo picco di popolarità: quella di papa Francesco che ha sostituito la catechesi all'Udienza generale con la preghiera del Rosariooltre che con poche parole di dolore, e quella della colletta indetta per domenica 18 settembre in tutte le chiese italiane a favore dei terremotati. A dire che, alla fin fine, non c'è niente di meglio per un cristiano, in questi momenti, che pregare e dare quel che può.
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