Sulla curiosità è uno dei 78 trattatelli di Plutarco, raggruppati nel 1296 da Massimo Planude sotto il titolo Moralia, in dittico con le Vite parallele che sono l'opera più nota dello scrittore e filosofo nato a Cheronea nel 46 d.C.Plutarco frequentò ad Atene il platonico Ammonio ed ebbe importanti incarichi amministrativi. A Roma dal 72 al 92, ebbe fama come oratore e studioso. Traiano gli conferì la dignità consolare. Rientrato in Grecia, Adriano lo nominò procuratore; fu sacerdote nel santuario di Apollo a Delfi, e morì intorno al 120 d.C. Una nuova edizione di Sulla curiosità è resa disponibile, con testo greco a fronte, da La vita felice (pp. 152, euro 10,50), per l'attenta cura di Simona Micheletti, prefata da Simone Beta. Il titolo, spiega la curatrice, fa problema, perché Plutarco usa due sinonimi polypragmosyne e perierghia: il primo indica «l'inclinazione a occuparsi di molte cose»; il secondo l'atteggiamento di chi non partecipa alla vita pubblica secondo l'ipocrita "neutralità" di criticare senza impegnarsi. In ogni caso, Plutarco assegna alla curiositas una connotazione negativa, mentre ai giorni nostri la curiosità è intesa anche come la molla positiva del "progresso", analogamente alla "meraviglia" che per Aristotele era la spinta alla conoscenza. Lo stesso Einstein esortava a «non perdere mai una sacra curiosità».Peraltro, anche Plutarco, nel suggerire i rimedi contro la curiosità, consiglia al curioso di dedicarsi positivamente allo studio della natura e all'esame della propria coscienza, pur mantenendo alla curiositas un significato peggiorativo che Micheletti vedrebbe ben tradotto con "curiosaggine" o addirittura con «l'inelegante neologismo "ficcanasaggine"». Insomma, la curiosità stigmatizzata da Plutarco è quella dei nostri giornali-gossip e di certi reality tipo "Grande fratello", che spiano e spiattellano l'intimità delle persone perdendosi in chiacchiere, a proposito delle quali Plutarco ha scritto il De garrulitate, tradotto qualche anno fa dalla stessa Micheletti col titolo Sulla loquacità. In definitiva, la curiosità presa di mira da Plutarco «è un forte desiderio di conoscere i mali degli altri, malattia che, a quanto pare, non è esente né da invidia né da cattiveria».Plutarco esorta a un severo autocontrollo e al massimo rispetto per la privacy, al punto da lodare il legislatore di Turii che impedì che i cittadini fossero rappresentati nelle commedie, «a meno che non fossero adulteri e curiosoni». Interessante il parallelo tra adulterio e curiosità. Plutarco: «L'adulterio è, a quanto pare, oltre che una forma morbosa di curiosità per il piacere degli altri, anche ricerca e inchiesta su faccende riservate e tenute nascoste ai più, così la curiosità è intrusione, violazione e spudorato denudamento di ciò che è segreto». E ancora: «Essere curioso, così come commettere adulterio, è indizio di intemperanza, e non solo di intemperanza, ma anche di grave follia e di demenza».Plutarco parlava per esperienza: infatti, egli fu felicemente sposato con Timossena, che gli diede quattro figli maschi e, per ultima, una bimba, morta a soli due anni. Nei Moralia, al n. 46, si legge una lettera che egli scrisse alla moglie per consolarla della perdita della figlioletta. Del resto, nella sua Vita di Catone, a cui attinse Eugenio Corti per il suo Catone l'antico, Plutarco fa un elogio della vita matrimoniale di Lelio, con trasparente confessione autobiografica: «Ma più felice costui, che nei lunghi anni di sua vita si unì a una sola donna, a quella che aveva sposato nella sua giovinezza». «Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!», esclamava l'Ariosto. E noi parafrasiamo: «Oh gran virtù de' plutarchismi antiqui!».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: