C’è la realtà e ci sono le illusioni. Ma anche realtà costruite talmente bene da sembrare vere. Prendete il famoso bacio “rubato” di Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville (1950). Uno scatto iconico che ha fatto sognare milioni di innamorati: una giovane coppia che si bacia davanti al municipio di Parigi, mentre la gente cammina veloce e distratta. Una foto a lungo considerata una delle immagini simbolo di un certo modo di fotografare in strada, la capacità della fotografia di fermare l’attimo. Del resto Doisneau diceva: «La strada: è lì che bisogna andare, poiché vi si imparano molte più cose che a scuola».
Eppure quella foto è un “falso” reportage: Doisneau, infatti, stava realizzando un servizio per la rivista americana Life e per questo chiese ai due giovani di posare per lui. Sebbene lo stesso giornale avesse dichiarato che era stato uno “scatto rubato”, le cose andarono diversamente. Lo racconta nei dettagli la nipote del fotografo, Clémentine Deroudill, nel film che ha realizzato dal titolo Doisneau. Le revolté du merveilleux: «All’epoca non ci si baciava per strada con la stessa facilità di oggi, per cui gli servivano degli attori per costruire la scena come un regista. Così ingaggiò due allievi del corso di teatro Simon per interpretare due innamorati. Per loro non fu difficile entrare nella parte, considerato che si frequentavano assiduamente al di fuori del palcoscenico. Li fece posare un po’ dappertutto a Parigi. Vicino al Bhv, un famoso negozio davanti all’Hotel de Ville, trovò l’angolazione, gli innamorati si misero in posa, dietro di loro passò un signore col basco: la fotografia era pronta. Lo scatto venne pubblicato insieme ad altri baci senza suscitare particolare entusiasmo. Fino al giorno in cui, negli anni Ottanta, a mio nonno venne proposto di farne un poster. Appena pubblicata, questa immagine diventò un simbolo non solo di una generazione, ma di un’idea che avrebbe fatto il giro del mondo: la Parigi bohémienne, la Parigi degli innamorati, la Parigi della Libertà».
La foto iconica di Robert Doisneau esposta al Museo Diocesano di Milano: "Le Baiser de l'Hôtel de ville", Parigi, 1950 - © Robert Doisneau
Questa foto si può ammirare insieme ad altre 129 immagini in bianco e nero, fino al 15 ottobre, al Museo Diocesano “Carlo Maria Martini” di Milano nell’antologica su Robert Doisneau (1912-1994), considerato, insieme a Henri Cartier-Bresson, uno dei padri della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. L’esposizione, curata da Gabriel Bauret - promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e prodotta da Silvana Editoriale (che edita anche il catalogo che accompagna la mostra) col patrocinio del Comune di Milano -, ripercorre la vicenda creativa del grande artista francese, attraverso gli scatti provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, nell’immediata periferia sud di Parigi. «Perché Doisneau, un fotografo che non era credente e religioso, è in mostra al Diocesano? - chiede provocatoriamente la direttrice del Museo, Diocesano di Milano, Nadia Righi -. Perché aveva uno sguardo straordinario sull’umano. Le sue foto suggeriscono questa attenzione alla realtà, la capacità di cogliere cosa c’è di bello in ciascuno di noi. Come diceva Victor Hugo, “lo straordinario che è nel profondo dell’ordinario”. Lo stesso per Doisneau».
La rassegna racconta cinquant’anni di carriera di Doisneau, attraverso un percorso che analizza i suoi temi più ricorrenti e riconoscibili: dalla guerra alla liberazione, il lavoro e l’esperienza alla Renault, l’amore, i giochi dei bambini, il tempo libero, la musica, la moda, sapendo tradurre i gesti, i desideri e le emozioni dell’umanità tra gli anni Trenta e Sessanta, anche con grande ironia. Scene reali e qualche volta costruite, dunque. «Doisneau - dice il curatore Bauret- sa creare l’illusione che scene inventate di sana pianta siano invece frutto di un incontro inatteso per non dire del caso». Il fotografo conduce il visitatore in una emozionante passeggiata nei giardini di Parigi, lungo la Senna, per le strade del centro e della periferia, nei bistrot della capitale francese, fissando col suo obiettivo l’immagine di una città ormai scomparsa. E iparigini (d’altri tempi) e gli amici artisti, scrittori e poeti: non solo il compagno di scorribande Jacques Prévert, ma anche Malraux, Tinguely, Picasso, Léger, Giacometti.
«La mia vera passione è la pesca. La fotografia è solo un hobby», diceva il fotografo. Ma in fondo la fotografia è come pescare dalla realtà per raccontarla. O “ri-costruirla”. Con la potenza iconica di un bacio “rubato”.
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