Un giovane studioso fiorentino, Carlo Alberto Petruzzi, ha approntato una bibliografia di e su Carmelo Bene per un volume delle edizioni veneziane Damocle (www.edizionidamocle.wordpress.com). Va dal 1959 a oggi ed è organizzata con molta sapienza, anche se probabilmente qualche titolo sarà sfuggito all'ottimo Petruzzi, non sempre reperibile nei repertori e nelle biblioteche. Carmelo Bene è stata anche una mia grande passione e ho avuto l'immensa fortuna di poterne essere amico, e ho detto spesso che due volte soltanto - anche se ho avuto la fortuna di conoscere molti grandi scrittori e artisti grazie al lavoro delle riviste - ho avuto l'impressione di aver incontrato persone di quelle che possono essere definite come geni, Carmelo Bene ed Elsa Morante (che si stimavano tra loro moltissimo). Certo, anche Fellini, Ortese, Luis Buñuel, Italo Calvino, Zanzotto o, su altri versanti, Salvemini e Carlo Levi non erano da meno, e guardandomi indietro ancora mi stupisco di quanto la sorte mi abbia favorito. Cos'è un genio se non qualcuno che continua a sorprenderti dicendoti cose nuove e profonde ogni volta che lo accosti, che guardi o leggi le sue opere? Con Carmelo Bene era così, e a stargli vicini non si finiva mai di imparare, di essere felicemente provocati, costretti a mettere in questione le convinzioni superficiali ed epocali che tutti in qualche modo ci portiamo appresso. Nella bibliografia di Peruzzi compare anche l'indicazione di un'intervista che registrai - grazie alla presenza di spirito della sua compagna Luisa, ironica spesso e protettiva sempre, che mi aiutò con un registratore - e che pubblicammo su "Lo straniero" per ricordare Carmelo Bene quando, pochissimo tempo dopo, morì. Eravamo seduti fianco a fianco su un vecchio divano della sua abitazione, a Roma; Carmelo era molto sofferente, ma le medicine gli concedevano delle tregue e chissà perché (ma mi è oggi evidente che potesse essere il pensiero della morte vicina) ci mettemmo a parlare di Dio, anzi dell'assenza di Dio nella società che incombeva, e di cosa quest'assenza gli suggeriva. Quando Carmelo morì (marzo 2002), "sbobinai" l'intervista e la girai a Piero Giacché, altro amico di Carmelo e certo il maggiore tra gli studiosi della sua opera (sono orgoglioso di essere stato io a farli conoscere), ma mi venne spontaneo inviarla anche a Roberto Righetto, l'amico che coordinava allora le pagine culturali di "Avvenire", senza pensare a una sua pubblicazione. Grazie a lui l'intervista uscì su questo giornale col titolo più semplice e più immediato di Intervista su Dio.
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