martedì 19 settembre 2023
Mentre ci si gingilla con i sermoni creati da ChatGpt e affini, ghost writer vuoti quasi come chi li utilizza con convinzione fantasticando cornucopie di rinnovata redenzione a poco prezzo, qualcuno lavora molto più concretamente alla attualizzazione di un Turing test reloaded, segno inequivocabile della confusione imperante, comunque utile ad apprezzare quale sia il punto di sviluppo nella progettazione IA. L’assunto comune è che allo stato attuale le intelligenze artificiali avrebbero praticamente soddisfatto le condizioni poste a suo tempo dal matematico inglese, dimostrando di saper gestire eventi discorsivi che suggeriscono forme di consapevolezza (solo in apparenza perché le IA non ragionano ma aggregano) del tutto simili a quelle umane, tali da confondere la eventuale controparte che ignori se l’interlocutore sia umano o meno.
Comunque la si pensi siamo a buon punto verso il soddisfare le condizioni del superamento del test di Turing originario. Per inciso non credo in alcun modo che quel test indichi
uno stato di “coscienza” sia pur larvato. Coscienza e congegno di quel test appartengono a dimensioni ontologicamente separate e slegate da qualunque principio di necessità: posso essere cosciente ed essere al contempo privo di abilità logica e sintattica, questo non toglie che sono “altro” dalla macchina che mi supera
nei calcoli e nelle associazioni senza poter aggiungere nulla alla sua inesistenza identitaria (per intenderci). Mustafa Suleyman, cofondatore e Ceo di Inflection AI si è fatto questa idea: il prossimo step non è stabilire se la IA sia più o meno astrattamente “intelligente”, ma se sia in grado di generare autonomamente eventi e conseguenze nel mondo fattuale. Per rispondere al quesito ha immaginato una versione aggiornata del test di Turing. Segno dei tempi e delle scale di priorità che ci siamo dati, la prova consisterebbe in questo: la IA, a partire da un piccolo budget reso disponibile per ora da entità umane, dovrà dimostrare la capacità di produrre profitto, generare un commercio che porti il relativo capitale iniziale a un milione di dollari. Per fare questo la IA si potrà servire di capacità progettuali, ideative, produttive, di relazione, proporre prodotti e stilare contratti, cercare partnership e così via. In pratica fare ciò che fa un imprenditore. Un tipo di intelligenza multifunzione che identifica l’obiettivo della fantomatica singolarità, l’essere in tutto simili all’umano, con il fare impresa. L’idea è forse la più interessante di cui io abbia avuto notizia finora. Naturalmente, uno scenario di questo tipo il cui prototipo è, in previsione, circa due anni avanti rispetto ai modelli attuali, amplifica esponenzialmente le povere problematiche etiche già estremamente affollate e compromesse. Mi pare di cogliere in questo passaggio una tendenza alla riclassificazione delle priorità intellettive tutta volta al pragmatismo, cui finiremo per adeguarci dimenticando il percorso laborioso e spesso tragico che ci ha affrancato, almeno parzialmente, dai vincoli stringenti del risultato come metro di giudizio per valutare
l’agire e gli stessi esseri umani. Finiremo per affermare che intelligenza è produrre un reddito il cui oggetto è del tutto indifferente, che siano armi, farmaci, patate o persone. Ciò che conta sarà adeguarsi al diktat delle produttività che avocherà a sé ogni categoria, compresa quella del pensiero libero. I nuovi bocciati dal test di Turing, in un futuro prossimo, potremmo essere noi, incapaci di rendere credibile alla controparte, le IA, la nostra somiglianza alla umanità, cui avremo gioiosamente rinunciato. © riproduzione riservata
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