mercoledì 19 giugno 2013
Si dice «scultore in cera» (o, dottamente, «ceroplasta») e subito viene in mente Medardo Rosso (1858-1928), milanese (anche se nato a Torino) che fu amico (anche polemico) di Rodin e di Degas, che si applicò a trasporre in tre dimensioni i princìpi dell'impressionismo. A guardare le sue opere nel Museo di Barzio, il piccolo paese comasco dove il figlio dello scultore (registrato all'anagrafe Francesco Evviva Ribelle) raccolse le opere del padre rimaste negli studi di Milano e di Parigi, o nella Galleria d'Arte Moderna di Milano, si resta colpiti dalla labilità della materia (la cera, appunto) che sembra sul punto di squagliarsi dietro il vetro protettivo mandando in malora le finezze d'ombra e di riflessi che lievitano l'Ecce puer, o la popolare Portinaia. Rosso s'imponeva di «far dimenticare la materia», e ci è riuscito benissimo in queste sculture di cera che non preludono alla fusione in bronzo, ma restano autoreferenziali. Del resto, il grandissimo Saint-John Perse, non ambiva (Exil, IV) a comporre «un grande poema delebile»? È un problema che si ripresenta in molte opere «d'arte» contemporanee, per esempio nei monocromi di Piero Manzoni, o nei sacchi di Burri, che col tempo si guastano e sembrano anelare il bidone della spazzatura. Peraltro, i nostri musei sono pieni di cocci recuperati nelle discariche dei secoli antichi, a cominciare dai villaggi palafitticoli. In un certo senso, il capostipite dei ceroplasti è Antoine Benoist, a cui Medusa ha dedicato un curioso libretto (Antoine Benoist. Lo scultore in cera del Re Sole, pp. 168, euro 17,50). Benoist, celeberrimo al suo tempo, fu conteso dai sovrani d'Europa che ambivano a farsi da lui ritrarre più veri del vero, appunto come fece Luigi XIV che tuttora occhieggia nel profilo plasmato da Benoist, corredato da un'autentica parrucca regale, e con i segni del vaiolo che illeggiadrivano l'augusto volto. Il tempo cancellò quasi tutte le delebili sculture di Benoist (il medaglione del Re Sole, tuttavia, è conservato nel Museo di Versailles), e con esse sbiadì la fama del maestro ceroplasta, incolpevole ispiratore delle baracconate dei Musei delle cere che Madame Tussauds e i suoi emuli hanno disseminato per il mondo. Il libro raccoglie il testo di E. Soulié che nel 1856 fu il primo a riesumare Benoist; segue il più ampio scritto di S. Jossier che nel 1862 rettificò in parte il precedente, almeno per quanto riguarda la data di nascita di Benoist (1632, non 1631; la morte è sicura nel 1717). Viene poi la monografia di Eugène Vaudin (1871), ricca di particolari biografici. Infine, il testo di A. Dutilleux, nel 1905, esprime la parola definitiva sull'argomento. Nella prefazione, Maurizio Cecchetti si domanda: «Per quale impulso o nemesi la storia si è accanita a tal punto da realizzare una così larga e sistematica cancellazione dei ritratti ceroplastici dei secoli moderni?». La risposta, troppo semplicistica, è che quei ritratti erano fatti per non durare, quindi non sono durati e, francamente, il rimpianto non è lancinante.Nella breve postfazione, Philippe Daverio si occupa meno di Benoist che di Luigi XIV, accarezzando l'ipotesi che il vero padre del Re Sole sia stato il cardinale Mazzarino, che certamente gli fece da tutore per disposizione di Luigi XIII, da quando il nobile rampollo aveva quattro anni, fino alla maggiore età, e poi come primo ministro fino alla morte del cardinale, nel 1661. Ben venga, dunque, un riflettore su Benoist, senza dimenticare che, per gli artisti, ciò che conta è la fama in vita e il ceroplasta ne abbondò: i posteri «non dant panem».
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