Sollecitato a esprimersi sul tema dell’uguaglianza, un bambino di otto anni ha scritto la frase: «Per lui, l’altro sei tu». Vergate a colori su un grande foglio affisso nell’atrio della scuola elementare, parole di profondità quasi assordante. Descrivono un livello di empatia che forse solo la libertà e ariosità di riflessione dell’infanzia può raggiungere. Racconta anche, la frase, il doppio salto (vitale) che comporta ogni forma di immedesimazione. Una capriola che non si limita al considerare il prossimo, ma che prosegue e si spinge sino a figurarsi cosa per l’altro rappresentiamo noi, cosa quello sguardo in cui siamo “entrati” riesce a vedere e vede, anche delle nostre personalità, della loro immagine. Mettersi dal punto di vista degli occhi altrui, e con quegli stessi occhi puntare alla nostra figura, e di lì prenderci in considerazione. Traiettorie visive complicate, intersecate, proiettive, riflettenti. Acrobazie in cui quello stesso bambino con la sua intelligenza tanto acuta e penetrante si è lanciato, sino a capire cosa significhi capire. «Per lui, l’altro sei tu»: anche il rimpallo dalla terza alla seconda persona dice molto. Racconta quello sforzo mentale ardito eppure tanto felice, quando riesce, che è vedere gli altri, e nei loro occhi, intanto, vedere noi.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata