La lingua italiana ha la parola giusta per ogni cosa, persona o situazione, e l'aggettivo appropriato per designare Piero Buscaroli è "indisponente", désobligeant per i francesi, annoying per gli inglesi. "Indisponente", recita il Devoto-Oli, è chi «provoca reazioni o atteggiamenti dichiaratamente sfavorevoli od ostili». Camillo Langone, che ha dedicato al nuovo libro di Buscaroli, Dalla parte dei vinti (Mondadori, pp. 528, euro 24), un'intera pagina sul Foglio dell'11 febbraio scorso, ricorda che «siccome stavo elaborando un lungo articolo laudatorio, avente l'obiettivo dichiarato di aiutarlo a riemergere dal pozzo di silenzio in cui era stato precipitato per motivi politici e caratteriali, pensò bene di minacciarmi di querela». Nel libro, infatti, Langone è ricordato come «un giovane giornalista che poi scomparve dal mio orizzonte».
Se però si ha la forza di superare l'istintiva antipatia di una scrittura peraltro adamantina, nonché il fastidio per il disprezzo (che non è sprezzatura) che Buscaroli dispensa a destra e a manca, ci si rende conto di avere in mano un libro interessantissimo, importantissimo, indispensabile. Piero Buscaroli, fascista non mussoliniano, collaboratore del "Borghese" di Leo Longanesi (uno dei pochi a cui non ha revocato la stima), direttore del quotidiano "Roma" di Napoli, musicista e musicologo (sue le monumentali biografie di Mozart, Bach, Beethoven), collaboratore del "Giornale" di Montanelli (trattato con la disistima che merita) anche con lo pseudonimo Piero Santerno, da ragazzo fu testimone degli assassinii perpetrati dai comunisti in Emilia e dintorni, ed è evidente che per lui la Resistenza (almeno quella che ha visto) è solo sadica carneficina.
Di famiglia illustre, figlio di un apprezzato latinista, imparentato per via indiretta con il "comunistino" Massimo Cacciari, Buscaroli espone la verità del "suo" Novecento, denunciando le responsabilità comuniste nella strage di via Rasella, ricordando che la rappresaglia contro i partigiani ricordati nel monumento di Piazzale Loreto, a Milano, era motivata dall'agguato partigiano contro i tedeschi che distribuivano il latte alla popolazione, e così via in controstoria.
La parte più importante del libro è quella dedicata al 25 Luglio 1943, quando Mussolini venne fatto arrestare dal Re, dopo che, in nottata, il Gran Consiglio aveva approvato l'ordine del giorno stilato da Dino Grandi che esautorava il Duce. Buscaroli è feroce contro Grandi, con il quale ebbe incontri e contatti epistolari e che era stato compagno di studi di suo padre: leccapiedi di Mussolini fin da quando Grandi era ambasciatore a Londra, per vanità e doppiezza dichiarò che con quell'ordine del giorno riteneva di«salvare il salvabile», e invece compromise quello che si poteva salvare: infatti, non bastava fare di Mussolini il capro espiatorio, di fronte a una guerra perduta da tutto il popolo italiano. A loro volta, i gerarchi furono giocati dai militari di Badoglio e dal Re, che consegnarono l'Italia agli anglo-americani. Inoltre, anche attraverso interviste con Shinrokuro Hidaka, l'ambasciatore giapponese a Roma che ebbe con Mussolini l'ultimo colloquio politico proprio nella mattina del 25 luglio, Buscaroli ha avuto conferma che Mussolini, d'intesa col Giappone, stava tentando di ottenere un armistizio separato con la Russia, che avrebbe dato un corso del tutto diverso alla storia italiana. L'improvvido ordine del giorno Grandi mandò a monte il progetto: Mussolini non poté inviare a Hitler la lettera di dissociazione, di cui il Re era informato, e che avrebbe risparmiato tanti lutti al Paese.
Bastano questi cenni per segnalare l'importanza di questo volume, che contiene anche due bellissimi capitoli su Ezra Pound. Per quella sorta di masochismo che caratterizza certi esponenti della destra, Buscaroli si mette «dalla parte dei vinti». Ma, pur sconfitti dalla storia politica, Buscaroli e quelli come lui, non sono vinti: sono, propriamente, «indomiti».
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