L'allarme della settimana arriva direttamente dagli scaffali dei supermercati: calano le materie prime utilizzate per cucinare (uova, burro e farina), ma impazzano le zuppe pronte e anche le insalate già tagliate e lavate. E naturalmente i sughi pronti. Se andiamo a vedere in qualche archivio di film degli anni Ottanta, ci sarà sicuramente qualcosa che guardava al futuro e prospettava un cibo rigenerato, senza più fornelli e padelle. Dicono che sia l'effetto dell'aumento dell'occupazione femminile, ma non certo della crisi, visto che questi prodotti già pronti costano di più. Dunque la spesa dei cibi precotti rischia di diventare un simbolo del benessere (sigh), anche se a ben guardare sembra una degenerazione, che ci allontana sempre di più dal valore fondamentale della stagionalità e dal rapporto con la fonte del cibo: la terra. Un caso simile a quello che sta accadendo da noi (basti guardare dove mirano gli spot della televisione) l'ho visto con i miei occhi in Giappone, ma con un principio alla rovescia: frutta e verdura costano un occhio della testa, mentre i piatti pronti, di cucina giapponese sono alla portata di tutti. E devono essere anche buoni e salutistici, perché altrimenti i giapponesi si ammalerebbero. Ma qui è diverso: le case sono piccolissime e lo spazio per cucinare molto spesso non c'è. Per cui la vita, al netto della notte per dormire, si svolge fuori casa. In Italia il cibo pronto è una via breve alla comodità, che molto spesso lascia fuori il gusto di preparare qualcosa che abbia il racconto di un sapore. In questi giorni si festeggiano i 70 anni di Aimo Moroni a Milano, il cuoco che ha fatto della spesa il trionfo della sua cucina. E vien da pensare: sarà sempre più un lusso mangiare un piatto con il prodotto appena raccolto? Dovremo andare al ristorante per forza, col dubbio che pure quello si sia approvvigionato di buste e bustine con piatti già addomesticati?
La signora Emma di Verbania che ieri ha compiuto 117 anni potrà avere un'emula fra 10 o 20 anni se l'alimentazione di domani rischia d'essere slegata dalla stagionalità? Sono domande che sorgono leggendo la cronaca che, come sempre, presenta aspetti contraddittori. C'è la crisi e si spreca il cibo; c'è la campagna produttiva, ma la si snobba per andare al discount. Soprattutto ci sarebbe un racconto da portare dentro le case, ai propri figli, che vuol dire memoria, desiderio, stupore per un fenomeno ordinato che porta il cibo adeguato in ogni stagione, e non lo si fa più. Rinunciare a tutto questo ci indebolisce, ma soprattutto, davanti a uno Stato che non si preoccupa del futuro, rischia di diventare un boomerang sanitario. In Giappone queste domande se le sono poste; in Italia si prende solo atto di una tendenza senza chiedersi quali conseguenze potrebbero esserci.
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