L'uomo moderno pensa di perder tempo quando non fa le cose in fretta. Tuttavia non sa poi cosa fare del tempo risparmiato se non ammazzandolo.
«Ammazzare il tempo» è un'espressione forte che è anche nelle altre lingue (to kill time, tuer le temps, ad esempio) e riflette spesso il paradosso segnalato dallo psicanalista tedesco Erich Fromm (1900-1980) nella sua opera più fortunata, L'arte di amare, da cui abbiamo tratto l'odierna citazione. Da un lato, infatti, il grande comandamento è quello di non perder tempo, di agire con celerità, di non lasciare tregua a se stessi finché non si sono raggiunte le mete prefissate, ignorando tutto il resto, "drogando" i ritmi stessi del corpo. «Il tempo è denaro!», ci si ripete fin da quando eravamo bambini.
D'altro lato, però, quando si è finalmente giunti ad avere tempo libero e disponibile, non si sa più che cosa farne, è come un giocattolo inutile e allora ecco entrare in scena la frase citata: ci si rassegna ad "ammazzare il tempo", a tirar sera, ad aspettare di ritornare ad agitarsi. La ragione ultima di questa contraddizione sta proprio nell'incapacità di vivere il tempo, senza esserne o esterni o schiavi. Equilibrare le scansioni, ritrovare "tempi e momenti" per ogni azione, come diceva il Qohelet biblico, essere capaci di agire e di riflettere, di lavorare e di coltivare interessi più liberi e creativi, vivere i giorni feriali e godere quelli festivi, immergersi nelle cose e ritrovare se stessi nella preghiera e nel silenzio: è questa la difficile arte di vivere il tempo. Mi è sempre piaciuta una battuta del famoso romanzo Gargantua e Pantagruel di Rabelais che, riscrivendo il detto di Gesù sul sabato, affermava: «Le ore sono fatte per l'uomo e non l'uomo per le ore».
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