Tra le voci in cui classifico i post dell'infosfera ecclesiale tra i quali navigo, quella dei “santi, beati e testimoni” è sempre feconda: consente di cogliere la concreta pluralità di figure che popolano la Chiesa, sia nel corso dei secoli, sia nell'età contemporanea in cui viviamo. L'odierna Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni indirizza la mia attenzione su alcuni preti. C'è Samuel Piermarini, 28 anni, che viene ordinato da papa Francesco dopo essere stato una concreta promessa del calcio; c'è Giovanni Fornasini, che verrà beatificato il 26 settembre prossimo in quanto ucciso “in odio alla fede” dai nazisti, nel 1944, a 29 anni; c'è Livinius Esomchi Nnamani, morto di leucemia a 31 anni dopo che aveva chiesto e ottenuto dal Papa di essere ordinato, in anticipo, lo scorso Giovedì santo. E poi c'è don Giovanni Nervo, scomparso nel 2013 a 94 anni. Di lui parla su “Re-blog” ( bit.ly/32IoKn4 ) monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara; il suo post è l'assaggio di un ampio articolo che compare sull'ultimo numero della rivista “Il Regno”, in una rubrica dal titolo eloquente: “Sulle spalle di giganti”. L'occasione per ricordare ora questa figura non è legata alla sua biografia, ma alla vita dell'istituzione di cui fu fondatore, la Caritas Italiana, che nel 2021 compie cinquant'anni. Trovo che questa circostanza sia da sola massimamente eloquente: Nervo è un prete di cui si fa memoria per un anniversario non legato alla sua persona, bensì all'istituzione di cui è stato padre senza identificarcisi, se non per la saldezza dei princìpi che in essa ha immesso. Di lui Perego ricorda, fra l'altro, che amava definire la carità l'«ottavo sacramento», definendo la «profonda spiritualità» che egli raccomandava alla Caritas, per cogliere «i segni dei tempi» ed essere «profezia», come la spiritualità del buon samaritano: «La spiritualità della prossimità, della condivisione, del prendersi cura, della fraternità di cui monsignor Nervo fu educatore e testimone».
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