Caro Marco Tarquinio,
mi rivolgo a te perché temo tu sia uno dei pochi in grado di comprendere il dolore e, non di rado, l'angoscia che il cosiddetto corso degli eventi – di cui l'informazione ci dà il resoconto quotidiano – suscita in me e in molti. Ti vorrei porre una domanda, così semplice che mi sembra inutile farla lunga su tutto ciò che la alimenta giorno dopo giorno. La domanda è: in questo momento storico quante possibilità ha una brava persona, una persona onesta, uno che fa il suo lavoro e vive di quello, uno che ha rispetto del prossimo e delle regole della vita civile (tasse incluse), uno che ha ben chiari i suoi doveri oltre che i suoi diritti – bene: quante possibilità ha, oggi, un uomo così di intraprendere e perseguire con successo la carriera politica? I primi nomi che mi vengono in mente appartengono al passato oppure non sono politici di professione, come Mario Draghi, che è sicuramente una brava persona, anche soltanto per la ragione che parla chiaro, che non si nasconde dietro il politichese e perché non dà l'impressione di spocchia e di sostanziale disprezzo per la gente comune che i politici ostentano quasi sempre.
Quante possibilità ha un uomo che parla chiaro, esercita il rispetto del suo prossimo, tiene fede alla parola data e si strugge per il bene comune (magari moderandosi nell'uso di questa espressione) di varcare con successo tutti i meccanismi perversi che regolano l'accesso alle liste elettorali e, una volta ottenuto l'accesso, di svolgere un'onorata e soprattutto utile carriera politica? Oppure vale la vecchia frase (che io non amo e che nessuno può amare) del poeta premio Nobel Czeslaw Milosz: «Pensi a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata»?
Puoi tu, che sei una brava persona e parli sempre chiaro, aiutarmi a trovare una risposta che possa rimettere in moto il meccanismo politico della fiducia?
Anche perché, a dispetto di tutto, sono certo che le brave persone costituiscono la stragrande maggioranza (impolitica) della popolazione italiana, europea e mondiale. Un caro saluto.
Gentile Marco Tarquinio, nel 1942, all’inizio de La fine del machiavellismo (che bisognerebbe rileggere attentamente), Jacques Maritain scrisse che Niccolò Machiavelli «ha detto la verità su ciò che gli uomini fanno», ma ha indirizzato la scienza politica e la filosofia politica su vie radicalmente sbagliate: quelle che continuano a essere seguite nel mondo, nell’Occidente e in Italia, che suscitano disagi, scontentezze, inquietudini, angosce e alimentano distruzioni materiali e morali. E, tuttavia nel Principe, c’è un machiavellismo positivo, che gli avvenimenti che si stanno succedendo rivelano che è necessario attuare. Nel finale della celeberrima operetta, Niccolò Machiavelli ricorda che gli uomini, nei tempi quieti, «sono molto più presi dalle cose presenti che dalle passate e, quando nelle presenti trovano il bene, vi si godono e non cercano altro». Invece, è proprio in questi tempi che bisogna progettare e costruire ripari, argini e canali di scorrimento, in modo che i fiumi, quando sono in piena, non straripino, allagando campagne, abbattendo alberi ed edifici, spostando terreno da una parte all’altra, costringendo alla fuga. Sono cose che, nella situazione nella quale siamo, molti condividono, o sono costretti a condividere. Ma chi le ricorderà e le attuerà quando ritorneranno i tempi quieti e, spinti da volontà di potenza, si riprenderà a essere presi solo dalle “cose presenti”, ovvero dall’utilitarismo selvaggio, per non parlar di altro?
Due lettere davvero speciali mi aiutano, oggi, a riflettere su quell’essenziale dimensione di partecipazione e azione nella sfera pubblica che chiamiamo “politica”. Arrivano da due uomini di pensiero e di scrittura, cristiani sensibili che prendono molto sul serio la vita della (e nella) “città dell’uomo”. Luca Doninelli è critico, saggista e drammaturgo di grande valore, Raffaele Vacca è studioso e scrittore poliedrico ed è infaticabile organizzatore culturale. Non si tratta, certo, di due persone rassegnate, eppure l’uno e l’altro – con accenti diversi – danno soprattutto voce a rincrescimento, amarezza e sfiducia per il disordine della cosa pubblica e per l’insufficienza della risposta di una classe dirigente che si dimostra concentrata e tesa più ad affermare e recintare spazi di potere che a dare impulso a processi per costruire un presente e futuro più vivibili e più giusti. Papa Francesco ha ricordato a tutti che questo è un errore serio (Evangelii gaudium, 222-223), per i cristiani come per chiunque altro e tanto più per chi può incidere sulla vita di comunità, popoli, e persino dell’umanità tutt’intera.
Ecco perché è così importante la domanda scandita in modo dolente e incalzante dall’amico Luca Doninelli. E infatti mi accompagna e m’inquieta da anni. C’è ancora spazio, oggi, in politica per «brave persone» disposte a rimboccarsi le maniche e a spendersi non solo per sé, o per la propria cerchia ristretta, ma a impegnarsi, anche coraggiosamente, in nome di ideali alti e di obiettivi utili e concreti? C’è spazio per chi desidera parlar chiaro e agire in maniera limpida realizzando nella scuola, nella sanità, nella custodia dei territori e dell’ambiente, nelle imprese e in ogni altro luogo di lavoro condizioni e servizi che, senza retorica e fumosità, possano essere riconosciuti come tutela serena ed efficace della vita umana e del bene comune? C’è spazio per chi vuole costruire e mantenere un clima di pacifica collaborazione tra i popoli e considera imperativo il mandato costituzionale di “ripudiare la guerra”? C’è spazio per chi non accetterà mai che uomini, donne e bambini in fuga per persecuzioni e fame da Paesi più poveri del nostro e che chiedono asilo in Europa siano trattati da invasori e criminali? C’è spazio per la solidità di temi e proposte irriducibili a slogan emozionanti e fuorvianti? C’è spazio per chi vuole organizzare la speranza e non armare risentimenti? C’è spazio per chi è profondamente convinto che il popolo di cui siamo parte si serve e che del popolo non ci si serve?
Potrei continuare con le domande che discendono da quella prima… Ma non trattengo oltre la risposta: francamente penso che nel panorama partitico attuale di spazio ne sia rimasto poco. Mi spiego semplificando molto, e mi scuso se qualcuno si sentirà per questo toccato ingiustamente (penso a persone che stimo come Graziano Delrio e Stefano Lepri del Pd che hanno indirizzato al direttore di “Avvenire” una lettera molto intensa pubblicata il 2 giugno, o come l’ex senatore M5s Giovanni Endrizzi, o come Eugenia Roccella, oggi ministra alla Famiglia e alle Pari Opportunità...). Di spazio ce n’è poco perché i “posti” sono largamente occupati, e non soltanto da malintenzionati spocchiosi, come teme Doninelli, bensì da quelli che io chiamo gli evasivi. Da politici cioè che evadono dalle loro più autentiche responsabilità di legislatori e decisori perché divagano, anche accendendo polemiche forti, e non si risolvono a mettere al centro i problemi veri della gente vera (appoggiati senza riserve in queste evasioni da comunicatori più propensi a diffondere vacui chiacchiericci che a occuparsi di urgenze serie). Nel far politica, insomma, ci si muove troppo poco dalla realtà e da solidi valori di riferimento, di quelli che abitano il tempo e aiutano ad affrontare, e non a subire le diverse contingenze, e si procede, invece, soprattutto da fedeltà a leader di turno, provvisori “padroni” di programmi anche suggestivi ma di breve e mediocre respiro e, soprattutto, di meccanismi di selezione di “eletti” posti più al proprio servizio che a servizio della comunità. Per questo da anni dico e scrivo che in Italia la vera e rivitalizzante “grande riforma” sarebbe una legge elettorale che riavvicini e colleghi responsabilmente i rappresentanti ai rappresentati. A quei cittadini-elettori che in assenza di grandi e ben fondate case politiche con leadership decentemente plurali si dimostrano inclini a “consumare” i singoli “capi” di riferimento nell’arco di tre-quattro anni e, in settori sempre più larghi, si orientano all’astensione dal voto e al rifiuto di questo panorama partitico.
Sembra esserci dunque davvero poco spazio per quelle che Doninelli definisce «brave persone». Ma non è uno spazio del tutto inesistente. E io penso che si possa e si debba provare ad ampliarlo. Ci sono piccole case che possono diventare più grandi e grandi case che bisogna avere il coraggio di ristrutturare, aprendo porte e finestre e non solo attirando pezzi di vera o presunta nomenklatura. Ci sono reti che possono essere stese per collegare esperienze e dedizioni che fioriscono soprattutto a livello civico. E per chi crede nel Dio di Gesù Cristo, ma forse anche per chi è erede non pentito e non smemorato del grande umanesimo europeo, c’è da aver fiducia in un amore e una razionalità più grandi. Qui, mi offre un grande aiuto Jacques Maritain, lo straordinario pensatore francese che Raffaele Vacca opportunamente chiama in causa rifacendosi a un suo testo sui limiti del machiavellismo inteso come preoccupazione anche cinica dell’interesse a breve termine e del successo immediato. Maritain, proprio riflettendo su quei limiti, introduce un concetto che trovo bellissimo, perché capace di essere al tempo stesso consolante e motivante: il «fair play di Dio». Per un po’, per una stagione anche non breve, si può tradire il senso della politica e da essa si possono allontanare ed escludere le «brave persone», ma inganni e soprusi non durano. La logica storica, constata con realismo Maritain, uomo di fede conquistata e luminosa, ci conferma che l’ingiustizia (che è sempre distruttiva) finisce inesorabilmente per ritorcersi contro coloro che deliberatamente la scelgono e la praticano. Aspettare e sperare, allora? No: aiutiamoci, che Dio ci aiuta.