Tutto inizia il 26 agosto 2007 quando il primo ministro e padre dell’indipendenza (1975), Michael Somare, cattolico, in occasione della visita ad una chiesa protestante, firma il manifesto della “Nuova Alleanza tra il Dio di Israele, Padre, Figlio e Spirito Santo, e il Popolo della Papua Nuova Guinea”. La teologia e la sintesi biblica appaiono già dal titolo alquanto approssimative. Non si tratta infatti di un testo concordato tra il governo e il Consiglio delle Chiese, ma dell’iniziativa non condivisa di un gruppo di pastori di secondo piano.
L’anziano Michael Somare ammetterà più avanti di essere stato ingannato e di aver ignorato le intenzioni degli autori e il significato del testo. Ma il danno è fatto. Il capo del governo ha firmato un foglio che stabilisce di fatto un’alleanza informale tra Stato e altare; cosa che negli anni a venire farà molto contente le nuove sette evangeliche e pentecostali assieme alla galassia protestante tradizionale.
Ne sono seguiti infatti gradualmente nell’ultimo decennio una Giornata del Pentimento Nazionale, indetta dal governo e celebrata appunto ogni anno il 26 agosto; la posa nell’aula parlamentare di una copia seicentesca della King James Bible (prima versione inglese del testo sacro); la distruzione fisica nel Parlamento stesso di decorazioni e artefatti melanesiani ritenuti idolatrici e diabolici con un influsso negativo sui legislatori; il trasferimento (quinto Paese al mondo dopo Stati Uniti, Honduras, Guatemala e Kosovo) dell’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, con il primo ministro accompagnato per l’occasione da simpatizzanti sionisti autonominatisi assistenti spirituali e responsabili pastorali del governo e del Parlamento.
Uno potrebbe pensare che più in là di così non si può andare. Invece no. Da alcuni anni va avanti una campagna per la modifica in senso confessionale della Costituzione. Il nome ufficiale del Paese diventerebbe “Stato Indipendente e Cristiano di Papua Nuova Guinea”. Approvati in prima lettura dal parlamento il 15 febbraio scorso con 80 voti a favore (79 la maggioranza richiesta dei due terzi), gli emendamenti costituzionali sono stati tuttavia bloccati in seconda lettura il 29 maggio ricevendo solo 71 voti a sostegno.
C’è di tutto in questa vicenda, dall’ideologia pseudo-religiosa a tinte sioniste alla speranza di finanziamento statale alle Chiese una volta sanzionato il matrimonio di interesse. Proviene però anche da molti un grido sincero di solitudine e confusione con l’avanzare della modernità e la crisi irreversibile della cultura e dei valori tradizionali, una ricerca quasi disperata di nuova identità sociale e nazionale. Vicino a noi l’Indonesia è musulmana. L’Australia è secolare e persino atea. Noi, così si pensa, dobbiamo essere cristiani, l’unica possibilità che abbiamo per distinguerci e salvare valori umani e cultura religiosa.
La trasformazione del Paese in uno Stato confessionale è una soluzione evidentemente miope e illusoria, esteriore ed epidermica, pericolosa nelle mani delle minoranze fanatiche di ogni tempo e di ogni luogo. Il Parlamento in extremis ha evitato il passo falso. Ma la domanda profonda resta. E tocca soprattutto ai cattolici, un quarto della popolazione della Papua Nuova Guinea, elaborare itinerari di ragione, di spiritualità e di fede profondi e critici, centrati sull’istruzione e la formazione personale e comunitaria, alternativi al fondamentalismo e alla illusoria rassicurazione pseudo-religiosa.
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