Chi voglia accostarsi ad Amos Oz, uno dei più grandi scrittori viventi e davvero meritevole del premio Nobel, deve partire da due suoi romanzi. Cominci dall'ultimo uscito in Italia, Giuda: il protagonista compie una ricerca sulla figura del traditore per antonomasia, ma in realtà finisce per interrogarsi sul perché gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù.
L'altro romanzo è la sua autobiografia, Una storia di amore e di tenebra. Due piani si intrecciano: la nascita dello stato di Israele e la vicenda del protagonista, che fa i conti col suicidio della madre e decide di vivere in un kibbutz. Sono due opere di grande respiro ove lo sguardo etico dello scrittore si esprime in tutta la sua grandezza. Ma qui vogliamo indicare un'altra sua opera breve, Contro il fanatismo (Feltrinelli 2004), che raccoglie tre lezioni all'università di Tubinga nel 2002.
Cos'è l'opposto del fanatismo? Il compromesso. Scrive Amos Oz: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c'è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte». Oz ha ovviamente in mente il conflitto mai risolto fra israeliani e palestinesi e invoca la necessità del compromesso in modo che nessuno dei due popoli debba mai mettersi in ginocchio. Il compromesso qui non è capitolazione, ma andare incontro all'altro e trovare una soluzione rispetto alle richieste di ciascuno. Ed è un compromesso che non può non far male perché entrambi debbono rinunciare a qualcosa.
Stanco di continui conflitti, lo scrittore non crede a un improvviso colpo di fulmine e allora immagina un divorzio equo, una soluzione binazionale: «Israele deve ritirarsi a tornare a quella che era la iniziale proposizione del 1948. La leadership palestinese dal canto suo deve rivolgersi al suo popolo e dire una volta per tutte, forte e chiaro, una frase che non è ancora mai riuscita a pronunciare, e cioè che Israele non è un incidente della storia, che Israele non è un intruso, che Israele è la patria degli ebrei israeliani, a prescindere da quanto sia doloroso per i palestinesi. Allo stesso modo noi ebrei israeliani dobbiamo dire forte e chiaro che la Palestina è la patria del popolo palestinese, per quanto sgradevole ciò possa sembrarci».
Una volta accettata la spartizione, sarà più facile a poco a poco attraversare il confine e tornare a prendere un caffè insieme; e immaginare anche una specie di mercato unico mediorientale, magari una moneta unica.
Amos Oz è ben cosciente che il conflitto israelo-palestinese è uno scontro fra due vittime: «Due vittime dello stesso oppressore, l'Europa». Quell'Europa che ha nei secoli perseguitato gli ebrei per poi giungere alla soluzione finale è la stessa Europa che ha colonizzato il mondo arabo, sfruttandolo e calpestandone la cultura. Quell'Europa da cui i genitori di Oz (di cui uscirà a febbraio sempre da Feltrinelli il terzo romanzo, Tocca l'acqua, tocca il vento, inedito in Italia, una storia ambientata nella Polonia invasa dai nazisti) dovettero fuggire nel 1939. Suo padre che aveva studiato a Vilnius gli raccontava che sui muri si potevano leggere frasi come: «Giudei, andate via e tornate in Palestina». A Oz invece, nei suoi viaggi nel Vecchio Continente, accade oggi di vedere scritte opposte come: «Ebrei, uscite dalla Palestina». Un paradosso da cui si può venir fuori solo col buon senso, con la letteratura, vero antidoto al fanatismo, e con l'umorismo, la capacità di ridere di se stessi.
Come dimostra l'episodio che Oz racconta accaduto al collega Sammy Michael: dialogando con un autista convinto che gli ebrei debbano eliminare tutti gli arabi, gli chiede chi dovrebbe compiere l'opera. All'autista che gli risponde: noi, gli ebrei israeliani, egli dice: supponiamo che a lei venga assegnato un condominio nella sua città, Haifa, e debba bussare a ogni porta per eseguire il lavoro. Una volta concluso, lei scende in strada ma sente che al quarto piano c'è un bimbo che piange: cosa fa, torna indietro per sparargli? L'autista a questo punto tace per un po', poi dice: lo sa che lei è molto crudele? Un aneddoto emblematico sulla natura propria del fanatico: senza nessuna immaginazione.
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