giovedì 25 agosto 2011
Quando al mondo appare un genio, potete riconoscerlo da un segno inequivocabile: tutti si coalizzano contro di lui.
La virtù è sempre perseguitata: gli invidiosi muoiono, l'invidia mai.

Sono due classici della letteratura dei loro paesi, l'anglo-irlandese Jonathan Swift, autore della prima frase, e il francese Molière, a cui dobbiamo la seconda. E se vogliamo comporre una trilogia, ecco il tedesco Nietzsche che aggiungeva: «Non augurate all'invidioso di avere figli: sarebbe geloso di loro perché non può più avere la loro età!». Avete, dunque, capito quale sarà il tema di questa puntata della nostra rubrica, l'invidia, «una palla di gomma che più la spingi sotto più ti torna a galla», come scriveva il nostro Moravia. La sua anima più profonda era stata centrata da un filosofo come Baruch Spinoza: «godere del male altrui e rattristarsi dell'altrui bene». Essa è, per questo, entrata nel tetro corteo dei vizi capitali e, a sua volta, ha attorno a sé una serie di attendenti o dame di compagnia, come il livore, l'astio, la malevolenza, la calunnia, la cattiveria.
Vorremmo mettere l'accento su un solo aspetto di questo vizio, come ci è suggerito dai testi citati. L'invidia non sopporta la superiorità dell'altro in intelligenza, in bontà, in bellezza, in umanità. E allora si scatena per infangare. Ma può trasformarsi in un boomerang. L'invidioso, non riuscendo a distruggere del tutto l'altro, si tormenta: «l'invidia è carie per le ossa», dice suggestivamente il libro biblico dei Proverbi (14,30). Figlio della gelosia è l'odio, ma questo vizio è come un veleno che ti sei inoculato e non ti dà tregua. La figura del re Saul torturato dalla sua invidia per Davide è un simbolo per tutti. Cerchiamo di vaccinarci contro questa malattia dell'anima con dosi sostanziose di autocritica e umiltà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: