Diciamocelo: ognuno di noi ha un cantante di cui le orecchie mal sopportano il timbro vocale, il modo in cui compone o interpreta la musica. Io sì, alzo la mano. C’è un cantante italiano che non ho mai sopportato, uno di quelli che quando arriva la sua canzone alla radio, mentre sei in auto al semaforo, o stai facendo un lavoretto in casa, ti fermi e vai minaccioso verso l’apparecchio per cambiare stazione. Non è questione di generi, di analisi musicale approfondita o quant’altro. Quel cantante, a pelle, non mi va bene. La stessa cosa a volte succede con gli esseri umani. Che tu li conosca da anni, oppure dall’attimo in cui la cassiera del supermercato ti dà il resto, capita di avere una sensazione di fastidio. Succede, e può succedere. Del resto non si può piacere a tutti e, nello stesso tempo, non ci possono piacere tutti. Eppure ci sono casi dove si torna indietro rispetto alle proprie convinzioni. Ieri mi sono imbattuto in una canzone del cantante in questione e mi sono imposto di ascoltarla con attenzione. Stupore: il testo mi è piaciuto. L’ho riascoltata. Ero talmente pieno di pregiudizi che come attaccava a cantare cambiavo stazione, senza nemmeno ascoltare il testo. Il timbro continua a non piacermi, lo stile lo trovo da karaoke. Le canzoni, musicalmente parlando, sono per me banali e scontate. I testi però non sono male. Noi esseri umani siamo un po' strani, in effetti: passiamo la vita a litigare con i vivi e poi regaliamo fiori ai morti. Non sappiamo quasi niente di Tizio o Caio ma quando muore, talvolta, ci sentiamo in dovere di rendergli omaggio. A volte millesimiamo telefonate, baci o abbracci con i vivi ma davanti a una morte ci disperiamo. Sembra quasi che la musica sia più importante delle parole, che il modo di vivere di qualcuno determini automaticamente la scelta di non frequentarlo, che i diversi ritmi con cui si cammina possano allontanare i nostri cuori. Sembra quasi che la morte sia più importante della vita.
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