Papa Francesco ha doppiato su Twitter i 40 milioni di followers. È accaduto lo scorso mese di ottobre, seguendo un trend che, a quanto sembra, continua a segnare record in salita a un ritmo di circa 21mila nuovi followers al giorno. Ritmo in media pressoché costante da quel 12 dicembre del 2012 quando Benedetto XVI inaugurò l'era social con il suo primo, indimenticabile tweet: «Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via Twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore».
Misurare sui numeri la popolarità, o anche solo pretendere o illudersi che questi possano con una qualche esattezza restituire un'immagine a tutto tondo della realtà, è sempre un esercizio pericoloso. Però allo stesso modo neanche si può far finta che i numeri stessi non esistano o che non significhino niente. Perché quei milioni e milioni di followers saranno anche simili a quelli di certe rockstar, però, visto e considerato che il Vescovo di Roma non è una rockstar e che i suoi tweet sono piuttosto “densi” e significativi, il fatto che continuino a crescere, e a quel ritmo, qualche cosa vorrà pur dire.
D'altra parte è anche vero che questa affezione per il Papa non è qualcosa di passeggero né di episodico. A dimostrarlo, e in modo incontrovertibile, sono i numeri dei presenti a udienze, cerimonie, viaggi, che dai tempi di Giovanni Paolo II continuano imperterriti a salire, infischiandosene di tutto, allarme terrorismo – o psicosi – compreso. Perché su una cosa non c'è il minimo dubbio: è dai tempi dell'elezione di Karol Wojtyla che si può tranquillamente dire che nessun altro “personaggio” al mondo è riuscito, in un crescendo che ha macinato un record dopo l'altro senza ancora accennare di volersi fermare, a raccogliere attorno a sé tante persone in ogni angolo del pianeta (e se mai ce ne fosse bisogno, quest'ultimo viaggio di papa Bergoglio in Oriente l'ha dimostrato). E anche questo, con buona pace di chi negli anni per le sue ragioni ha provato, e ancora prova, a manipolare i numeri alla ricerca di “flessioni”, qualche cosa vorrà pur dire.
Ancora una volta sono molte le risposte che si potrebbero dare. A cominciare da quella forse più evidente, ovvero il fatto che in un mondo sempre meno umano, chi parla rivolgendosi agli uomini per forza raccoglie ascolto. Ma forse c'è qualcosa di più, come lo stesso Francesco circa un anno fa, alla fine di gennaio, sottolineò in un'omelia a Santa Marta. Qualcosa che ha direttamente a che fare con lo stile e l'essenza dell'essere pastore: «Il particolare più evidente – disse in quell'occasione papa Bergoglio – è che Gesù è sempre in mezzo alla folla». Nel brano evangelico proposto dalla liturgia la parola «folla» è ripetuta per ben tre volte. E non si tratta, fece notare il Papa, di un ordinato «corteo di gente», con le guardie «che gli fanno la scorta, affinché la gente non lo toccasse»: piuttosto è una folla che avvolge Gesù, che «lo stringe». Ma lui «è rimasto lì». E «ogni volta che Gesù usciva, c'era più folla». Forse, disse Francesco con una battuta, «gli specialisti delle statistiche avrebbero potuto pubblicare: “Cala la popolarità del Rabbi Gesù”». Ma «lui cercava un'altra cosa: cercava la gente. E la gente cercava lui: la gente aveva gli occhi fissi su di lui e lui aveva gli occhi fissi sulla gente».
Ecco, il “trucco” alla fine è proprio questo. Non cercare le folle per avvolgersene, ma cercare la gente avendo sempre gli occhi fissi negli occhi dell'altro. È questo, alla fine, che quei numeri straordinari ci dicono ogni giorno.
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