giovedì 11 dicembre 2003
Chi fa uno sforzo contro se stesso sa già che il se stesso non opporrà resistenza. È sempre emozionante leggere il fascicolo di un'antica rivista. Quella che ora ho casualmente tra le mani reca la data del 1° marzo 1922 e s'intitola Il Secolo XX. L'ho ricevuta in dono perché contiene un delizioso articolo su Achille Ratti, bibliotecario dell'Ambrosiana e alpinista, prima di diventare Pio XI. Ma la curiosità mi spinge a leggere tutta la rivista: c'è un necrologio per la morte di Giovanni Verga, l'autore dei Malavoglia, scomparso appunto in quell'anno e c'è la rubrica fissa di Pitigrilli, pseudonimo di uno scrittore allora popolarissimo (il suo vero nome era Dino Segre ed egli lo nascondeva anche per i pregiudizi razziali, purtroppo mai del tutto sopiti). Egli era nato a Torino nel 1893 e quindi aveva allora 29 anni ma già alcuni suoi romanzi conditi di spezie sessuali, di ironia e di "suspense", avevano registrato clamorosi successi editoriali. Desumo dalla sua rubrica la breve osservazione sopra proposta. È una lezione semplice ma ben attestata e fondata riguardante l'egoismo e l'orgoglio. Il "se stesso" dovrebbe essere scritto con la maiuscola perché è per noi spesso un vero e proprio dio a cui si riserva ogni giorno almeno un granello d'incenso. È ipocrita l'impegno che proclamiamo per correggerci perché sappiamo che noi adattiamo già la nostra lotta alle esigenze del nostro io. C'è, infatti, una buona dose di falsità in tanti propositi di virtù e di rigore, perché si sa già che in realtà non si vuole infierire più di tanto sui propri vizi e sulle proprie comodità. È una sorta di gioco delle parti: con la volontà si emettono intenzioni severe, con la vita le si disperdono come nebbia al sole, trovando sempre le scusanti più nobili e le giustificazioni più convincenti. L'applicazione coerente e costante è sempre la vera e unica prova della serietà di un autentico impegno morale.
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