In una lunga intervista su "Il problema della profezia cristiana" rilasciata nel marzo del 1998 al teologo Niels Christian Hvidt, l'allora cardinale Joseph Ratzinger, all'epoca Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, spiegava che «il profeta non è uno che predice l'avvenire». Piuttosto, puntualizzava, «il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro. Pertanto non si tratta di predire l'avvenire nei suoi dettagli, ma di rendere presente in quel momento la verità divina e di indicare il cammino da prendere». E sottolineava inoltre, segnalandolo specificamente come un elemento «molto importante», che «il profeta non è un apocalittico, anche se ne ha la parvenza, non descrive le realtà ultime, ma aiuta a capire e vivere la fede come speranza. Anche se il profeta deve proclamare la Parola di Dio come fosse una spada tagliente, tuttavia egli non è uno che cerchi di fare critiche sul culto e sulle istituzioni. Egli deve sempre fare presente il malinteso e l'abuso della Parola di Dio da parte delle istituzioni e ha il compito di esprimere le esigenze vitali di Dio».
Questa idea fondamentale su chi sia veramente il profeta, nella Chiesa, è ritornata martedì scorso nelle parole di papa Francesco durante l'omelia della Messa mattutina a Santa Marta, dedicata proprio alla missione del profeta, e ai rischi che essa comporta. A partire dalla affermazione che «il vero profeta non è un "profeta di sventure" (...) il vero profeta è un profeta di speranza», che aiuta a «risanare le radici, risanare l'appartenenza al popolo di Dio per andare avanti. Non è per ufficio un rimproveratore... No, è un uomo di speranza. Rimprovera quando è necessario e spalanca le porte guardando l'orizzonte della speranza. Ma, il vero profeta se fa bene il suo mestiere si gioca la pelle». Un autentico e credibile testimone, insomma; come Stefano, il primo martire, che arrivò a sfidare popolo, scribi e anziani che l'avevano trascinato in tribunale: «"Incirconcisi nel cuore e nelle orecchie. Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Voi non siete coerenti con la vita che viene dalle vostre radici", disse. E loro, che avevano il cuore chiuso (...) non volevano ascoltarlo e non ricordavano più la storia d'Israele». Per questo, ha ricordato Francesco, gli anziani e gli scribi «furibondi» trascinarono fuori Stefano, e lo lapidarono; perché «quando il profeta arriva alla verità e tocca il cuore o il cuore si apre o il cuore diventa più pietra e si scatena la rabbia, la persecuzione». «I profeti – ha osservato ancora papa Bergoglio – sempre hanno avuto questi problemi di persecuzione per dire la verità». Verità che, allora, è nello stesso tempo paradigma della profezia e cartina di tornasole per riconoscere il vero profeta, ossia con lui «che è capace di piangere per il suo popolo e anche di dire le cose forti quando deve dirle».
Ed è allora proprio di questi profeti che la Chiesa ha bisogno. Anzi, ha aggiunto papa Francesco, «dirò di più: ha bisogno che tutti noi siamo dei profeti... Non critici, questa è un'altra cosa. Una cosa è sempre il giudice critico al quale non piace niente, nessuna cosa gli piace: «No, questo non va bene, non va bene, non va bene, non va; questo deve essere così...». Quello non è un profeta. Il profeta è quello che prega, guarda Dio, guarda il suo popolo, sente dolore quando il popolo sbaglia, piange – è capace di piangere sul popolo –, ma è anche capace di giocarsela bene per dire la verità».
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