mercoledì 25 ottobre 2017
A leggere i messaggi sempre più copiosi che riguardano la cucina di casa nostra, messa in mostra su giornali e tivù, bisognerebbe inventare il Pri (Partito della ristorazione italiana). Ed è strano che non ci abbia già pensato Berlusconi, che passerà alla storia anche per quella frase che di fatto ha sancito larghe intese: «I ristoranti italiani sono tutti pieni». Eravamo in piena crisi, dopo pochi mesi il suo governo dovette lasciare il posto a quello di Mario Monti, ma quella frase, su cui molti ebbero ad ironizzare, non trovò grandi smentite a destra e a manca. Oggi un sondaggio Coldiretti-Censis sulla spesa degli italiani chiude il cerchio: 24,5 milioni di italiani mangiano fuori casa regolarmente. Una spesa di circa 78 miliardi, ovvero un terzo dei consumi alimentari. In settimana, e poi fino a metà novembre, escono le principali guide ai ristoranti, con le classifiche degli chef che fanno "alta cucina" (anche nel prezzo) e l'attenzione torna ai massimi livelli (o quasi). Ma intanto il capocuoco del Policlinico di Bologna denuncia che non trova un cuoco, nemmeno fra i numerosi allievi "sfornati" (nomen omen) dalle scuole alberghiere. Sognano tutti di avere un locale, e poi le stelle, le apparizioni in tivù e gli show cooking: del resto si sono iscritti a un sogno, mica a una professione.
Federico Francesco Ferrero, che ha partecipato a uno di questi sogni, vincendo l'edizione del 2014 di Masterchef, esce in questi giorni con un libro che cade a fagiolo, rivolto esattamente al popolo di chi mangia fuori casa, "L'Apericena non esiste: magri e in salute tra aperitivi e cene fuori casa". E anche questo fa parte della legge di mercato: di fronte a una moda che cresce, si annidano bisogni che non c'erano. Così, di fronte all'abbuffata generale di cibo e vino a cui ormai nessuno può rinunciare, occorre ritrovare il bandolo della matassa di un equilibrio che è andato a perdersi. Ma la strada è in salita più di quanto si possa immaginare, perché da tutti quei locali che ci propinano pizzette e patatine è sparita proprio la spesa al mercato. E quindi soccombe l'attenzione alla stagione, che non viene messa a tema neanche a scuola, figuriamoci nelle festicciole dei bambini, liquidate con un semplice pacchetto di patatine e bibite gassate. Ora, è impensabile che oggi qualcosa venga "proibito", anche perché l'effetto è quello di creare curiosità ulteriore, ma chiedere ai genitori che gestiscono festicciole di vario ordine e grado, dagli oratori alle scuole, di pensare anziché delegare, può essere un esercizio virtuoso. Basterebbe una riflessione, che inizia dalle scuole. Del resto le mamme di oggi sono più occupate di quelle di ieri, ma anche più informate. Come tutto questo può diventare una coscienza comune? Tre ministeri, almeno, dovrebbero rispondere.
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