domenica 24 settembre 2017
Le mie ambizioni apostoliche rischiarono di essere interamente inghiottite dal gabinetto. Ma la malattia si interruppe così come era iniziata, di colpo, senza spiegazioni. Morire di dissenteria alle porte della Metagonia non era il mio destino. Ripartire immediatamente era tuttavia impossibile: avevo perso una ventina di chili, le gambe vacillavano, il mio aspetto era magro e livido. Devo confessare che aver perso le guanciotte non mi dispiaceva affatto. Anche i missionari hanno i loro top model. Avevo l'impressione, specchiandomi, di assomigliare a padre Charles de Foucauld. Inoltre, durante quella prova e la convalescenza che ne seguì, fratel Ugo si era stabilito a Las Paquitas e sembrava che non volesse più venirne via. Celebrava la messa, confessava, organizzava rosari quasi quotidiani con tutte le matrone del vicinato. Quando gli parlai perché si concentrasse di nuovo sulla nostra missione, si atteggiò a direttore spirituale di quelle signore lasciandomi intendere che era più difficile evangelizzare delle bigotte che dei selvaggi. Avevamo tutto il tempo, secondo lui, e dovevo avere meno impazienza e più fede. Subito dopo mi raccontò questa storia che non avevo mai sentito prima: nel XVII secolo, padre Alonzo Benavidez, capo delle missioni francescane del Nuovo Messico, aveva ricevuto la visita di alcuni indiani già istruiti nei dogmi che gli chiedevano il battesimo, ma nessun missionario era ancora entrato nei loro territori. Come era potuto accadere un tale prodigio? Grazie al dono della bilocazione della venerabile Maria di Agreda. Aveva convertito quegli indiani senza lasciare la cella del suo convento in Spagna… Intravvidi nella voce di fratel Ugo una punta di ironia. Stava forse suggerendomi che le nostre popolazioni di Metagonia sarebbero diventate più facilmente cristiane se non fossimo andati e che era meglio aspettare che esse stesse passassero la frontiera nell'altro senso? Aggiunse poi senza esitare: «Perché non lasciarli in pace? Se la Provvidenza li ha custoditi fino ad oggi, se ha risparmiato loro anche i commercianti – quando i commercianti hanno sempre e ovunque preceduto i missionari – ci dovrà pur essere una ragione! Forse questo è un piccolo resto dell'Eden…». Non cercate dietro a queste parole un qualsiasi realismo sul nostro Occidente decaduto. Ciò che voleva più di ogni altra cosa il confratello Ugo era di non schiodarsi da Las Paquitas e proseguire la guida spirituale della nostra vicina, la pasciuta Mercedes Mendoza y Luna… Il superiore finì per mandarci un messaggio in nome della Santa Ubbidienza. Lo lessi a Ugo con un piacere che uguagliava la sua contrarietà. Doveva rinunciare alla sua inerzia e riprendere i preparativi. Questa fu l'occasione di nuovi discussioni, soprattutto quando gli consigliai di portare con sé una coroncina più piccola. Avevamo opinioni diverse sull'attrezzatura necessaria (è vero che i nostri giudizi erano sempre in disaccordo tranne forse su ciò che non era di questo mondo). Io desideravo ubbidire alla consegna della nudità più grande: «Quando vi mettete in viaggio non prendete nulla: né bastone, né borsa, né pane, né denaro e non portate una tunica di ricambio. La nostra povertà sarebbe stata il grande segno…». Ora fratel Ugo non soltanto voleva portare tutti gli accessori che permettono un viaggio sicuro e comodo; credeva anche indispensabile caricarsi di immagini sacre, di statuette fosforescenti, medaglie “made in China” e altre cose di pessimo gusto, purché fossero brillanti e grondanti di buoni sentimenti capaci di toccare il cuore del selvaggio. Per dare peso ai suoi propositi, mi spiegò che ad ogni modo il nostro carico non poteva che essere pesante: «Laggiù non troveremo ne grano né uva. Se vogliamo continuare a celebrare la messa, supponendo di restare anche solo tre mesi e di fare un certo numero di conversioni, ci occorreranno almeno cento chili di frumento e due ettolitri di moscatello di Estremadura…». Non so se amava specialmente questo vino bianco perché era molto zuccherato o perché portava il timbro della Santa Sede. Comunque è vero che non avevo previsto la sua osservazione: Gesù aveva inviato a quel tempo i suoi apostoli senza borsa né pane, ma, ora che ne aveva fatto dei preti, questi dovevano trasformarsi in somari e partire con un barile sulla schiena e borse di farina legate ai fianchi. «Quando arriveremo – obiettai – apriremo la via per un approvvigionamento dal paese di Valdès». È quello che dicevo, mi replicò con un sorriso che mostrava che proprio lì mi voleva. Abbiamo bisogno che i commercianti ci precedano o ci seguano. È forse questo il senso delle parole di Gesù: “Le prostitute e i pubblicani vi precedono…”. Stava ancora prendendosi gioco di me e del mio romanticismo. Dunque insistetti: «Prenderemo il minimo indispensabile e aggiungeremo alcuni chicchi per seminare il grano e l'uva». Le labbra di fratel Ugo si storsero in una smorfia di disgusto. Ero un idealista incurabile. Per dirla tutta, ciò che non comprendevo nel comandamento di Gesù, non era tanto la miseria materiale quanto la necessità per i discepoli di essere mandati due a due. Perché dovevo andare con questo zoticone che si opponeva con tutte le sue forze e che avrebbe colto al volo la prima occasione per tornare indietro? Questa era tuttavia la missione: predicare “amatevi gli uni gli altri” a popoli che forse ne non avevano bisogno, con un compare che detestavo.
(3, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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