giovedì 22 novembre 2018
Il cinema lo inventano i fratelli Lumière, lo sappiamo. Poi arriva Orson Welles (1915-1985) e lo reinventa. La sintesi è parziale e anche un po' partigiana, ma difficile da smentire. Specie se si torna con la mente a Quarto potere, sbalorditivo esordio di un regista che all'epoca, nel 1941, aveva solo 26 anni. Ma regista è dire poco, perché di quel film – e di tutto il suo cinema, anzi – Welles è interprete e sceneggiatore, propagandista e demiurgo. Talento assoluto, nutrito dei classici della letteratura (Shakespeare, anzitutto, ma anche Conrad, di cui progettò a lungo di portare sullo schermo il capolavoro Cuore di tenebra) e nello stesso tempo sensibilissimo agli strumenti che la modernità gli mette a disposizione. L'avventura visionaria di Quarto potere è preceduta di qualche anno dal rivoluzionario adattamento radiofonico della Guerra dei mondi, dal romanzo di H.G. Wells, trasmesso in diretta nello stile di quelle che oggi si chiamano breaking news: interrompiamo la normale programmazione per annunciare che i marziani stanno conquistando la Terra...
Una trovata degna di Charles Foster Kane, ovvero il Citizen Kane che incontriamo nel titolo originale di Quarto potere. Rielaborazione significativa, questa che sposta l'attenzione dal protagonista assoluto e assolutamente prometeico a uno dei problemi che il film potrebbe eventualmente suscitare: il sistema dell'informazione come potere ulteriore e alternativo rispetto alle tradizionali istanze legislative, esecutive e giudiziarie. Non che Welles non fosse stato preveggente nella sua analisi, come dimostrano le vicende dei neopopulismi nostri contemporanei (e come Quinto potere fu presentato non a caso in Italia il filmNetwork di Sidney Lumet, che nel 1976 metteva sotto accusa la crescente influenza esercitata dalla televisione). Il fatto è che in Quarto potere c'è molto più della riflessione sul quarto potere. C'è lui, il cittadino Kane, l'orfano che eredita una fortuna, il magnate che vittoriosamente stravolge le regole del giornalismo, il miliardario che tenta l'impresa della politica.
Le analogie si sprecano, avanti e indietro nel tempo. Non è un mistero che Welles si sia ispirato alla biografia di William Randolph Hearst, né che lo stesso Hearst – padrone di un impero mediatico su cui il sole ancora oggi non è tramontato – abbia fatto di tutto per osteggiare la diffusione del film. Ma la cronaca, in Quarto potere, conta fino a un certo punto. Quella che Welles allestisce è la tragedia elisabettiana così come solo il XX secolo avrebbe saputo concepirla, con inquadrature e movimenti di macchina subito entrati nella storia (fondamentale, sotto questo aspetto, la collaborazione con il direttore della fotografia Gregg Toland). Kane è interpretato dallo stesso Welles, e non potrebbe essere altrimenti. Al suo fianco stanno l'amico Jedediah Leland, impersonato da Joseph Cotten, e il fedelissimo Mr. Bernstein, che ha il volto di Everett Sloane. E c'è Susan (l'attrice Dorothy Comingore), la donna amata, alla quale tutta la ricchezza di Kane non può assicurare le capacità artistiche che drammaticamente le mancano. La folla di personaggi che ruota attorno al protagonista è molto più numerosa, ma ciascuno di loro sembra esistere solo nel momento in cui entra in relazione con Kane, il quale a sua volta è il vecchio morente nel cui delirio risuona la parola "Rosabella" (Rosebud in inglese) ed è, nello stesso tempo, il bambino costretto a separarsi dalla slitta con cui sta giocando. Meditazione solenne sul mistero del tempo, Quarto potere è molto più di un film: è il cinema come sogno e come sapienza, è uno sguardo che, posandosi sul mondo, costringe il mondo a rivelarsi.
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