mercoledì 14 luglio 2021
Prima di assume-re la fisionomia di donne/pesce che ci è stata tramandata, le Sirene erano donne/uccello, dunque alate, per accompagnare i defunti nel viaggio verso gli inferi. Le popolari fattezze di donna/pesce sono state rafforzate dalla fiaba La Sirenetta di Hans Christian Andersen (1837), nella quale lo scrittore danese ha celato il suo tormento di omosessuale dopo il matrimonio dell'amico Edvard Collin. La Sirenetta di bronzo sullo scoglio nel porto di Copenaghen ha fatto il resto, a uso e consumo dei turisti. Quasi tutti ricordiamo l'episodio di Ulisse e le Sirene nell'Odissea, e anche qui la bellezza e il canto delle Sirene sono tendenzialmente nefasti. Ulisse però ha avuto l'accortezza di turare con la cera gli orecchi dei marinai e di farsi legare all'albero della nave per sfuggire al canto ammaliatore delle creature marine. Platone cita le Sirene in più luoghi. In particolare, nel Cratilo c'è una digressione sui diversi nomi di Poseidone (Nettuno), detto anche Polleidon (dio che molte cose sa), e ancora Plouton (dio della ricchezza) e finalmente Haides (Ade), l'invisibile e sapiente governatore degli inferi che lega a sé le anime dei morti al punto di farle desistere dal voler tornare nell'aldiquà, Sirene comprese. Si intitola Sirene la nuova raccolta poetica (che forse è un unico poemetto) di Ivonne Mussoni (Perrone, pagine 80, euro 15) il cui centro è questa poesia ispirata dall'Alcesti di Marguerite Yourcenar: «Attraverso me poteva spiare l'invisibile / ricordare cosa c'era / prima che ci fosse giorno e notte / prima del firmamento / che separa le acque dalle acque». La Sirena, dunque, messaggera dell'invisibile, annunciatrice dell'oltre, passato e divenire. Qui la Sirena è positiva, trasparente. Tre cerchi sull'acqua: il primo, «ricordare che il diluvio ha già lavato gli occhi»; «dal secondo cerchio / proprio come da un fondale /si inizia a risalire, si intravede / un po' di luce»; il terzo è «riconoscere il piano nostro della terra / dove quasi nuovi, quasi salvi riemergiamo». Tre colpe: «C'è una prima colpa nel perdere / la propria giovinezza»; «La seconda colpa / è volere l'innocenza delle bestie. / Ambire alle ali, a uno sguardo rapace»; «La terza colpa è abituarsi della prima, / rifarla ancora e ancora, / fino a perdere le ali e avere solo piume / inadatte al volo, alle bufere». Nella prefazione, Dacia Maraini ritiene che «Ivonne Mussoni raggiunge i toni migliori quando dismette i panni profetici della sirena, i filtri e le maschere dei simboli, e si lancia senza protezione, senza miti di sicurezza, perché forse l'addio di una ragazza ferita è più forte delle metafore e ricorda che c'è bisogno di una nuova armonia fra la donna e l'uomo: "Non avevo voce per dirti addio, / non ritornare, è tutta colpa tua"». Sì, c'è anche questo nel traslucido poemetto: ma io preferisco «i panni profetici della sirena, i filtri e le maschere dei simboli». Se, dunque, si può scegliere, vuol dire che ricca è l'offerta poetica di Mussoni.
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