Presentando in questa rubrica, lo scorso 7 dicembre, il primo video, “Corresponsabilità” (bit.ly/3FtGCXg), della serie #TheChurchIsOurHome, mi ero ripromesso di seguire anche gli altri tre, man mano che venivano pubblicati. Ricordo che questi filmati rappresentano lo sviluppo digitale della sessione ristretta d’ascolto sinodale che il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha organizzato fra una trentina di persone con varie disabilità e che si è conclusa con un robusto documento, “La Chiesa è la nostra casa”, consegnato alla Segreteria del Sinodo e a papa Francesco e consultabile sul sito del Dicastero ( bit.ly/3F3uLh3 ). Il video “Alzati e cammina!” è uscito il 15 dicembre ( bit.ly/3DjIpMS ), “Un magistero di fragilità” ( bit.ly/3WGuMyb ) il 12 gennaio e l’ultimo, “Una porta aperta alla speranza”, è di ieri ( bit.ly/3Rb87J6 ). I protagonisti sono, in tutti e quattro i filmati, tre donne, Claire Marie, Giulia, e Luz Elena, e due uomini, Enrique Alarcón García e Justin Glyn, che rappresentano le principali aree geografiche-linguistiche oltre a essere, ciascuno, portatore di una differente disabilità. I video, che al netto della sigla durano intorno ai 5 minuti, sono ambientati in Vaticano: alcuni esterni e altrettanti interni rendono molto bene il valore insito nella convocazione di questi «fedeli con disabilità» dentro al cuore della Chiesa istituzionale. Ma la loro forza sta nei testi. «“Poverina!” è un atteggiamento che non amo molto, anche se so che alcune persone non lo dicono in cattiva fede o in senso pietistico», dice Giulia. «Sono molto felice così. La vita è piena di gioia, perché è la gioia di Maria», le fa eco Claire Marie (Alzati e cammina!). Per Justin Glyn «un magistero della fragilità» consiste non «nel modo in cui parliamo, ma nel modo in cui agiamo: siamo vulnerabili gli uni agli altri e ci aiutiamo a vicenda nella nostra vulnerabilità». «Oggi possiamo parlare di un evento inaspettato che diventa incredibilmente fondamentale sia per la persona che lo vive sia per la Chiesa stessa» dichiara Enrique Alarcón García (“Una porta aperta alla speranza”), mentre Luz Elena esprime la sua emozione: questo progetto sulla disabilità «ci ha fatto sentire come fratelli, uniti, specialmente nel nostro incontro con Cristo. Sapere che Cristo ci ama, sentirmi amata…».
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