Come le mani, anche gli occhi tra di loro collaborano. Con funzioni rispettive un po’ diverse: uno dei due dominante, quello in relazione con il cervello, l’occhio che più velocemente mette a fuoco forma e natura degli oggetti. Su questa differenza Clarice Lispector, grande scrittrice brasiliana di origini ucraine, riflette e ragiona. Si accorge che proprio l’occhio dominante (“direttore”, così l’oftalmologo le ha insegnato a chiamarlo) è il più sensibile, quello in cui più spesso accade entri un “bruscolo”, un granello di polvere, un qualche oggetto estraneo e irritante. Sebbene veda più e meglio dell’altro, l’occhio direttore conta così dalla sua una maggiore vulnerabilità. Metafora della vita: più si è interiormente solidi, più si è esposti ad attacchi e intemperie. Vittime di quella stessa sensibilità che è dell’occhio “nudo”, ovvero umano (“a occhio nudo” è “human eye”, in inglese). Nudo non solo perché in grado di vedere da solo, senza ausilio di lenti, anche perché scoperto, senza protezioni. “Succederà così solo con gli occhi?” candida e arguta si interroga Lispector. No, non soltanto: quasi sempre è chi più vede quello che più patisce. Pigro, schermato e alleggerito dalla sua poca sensibilità, l’occhio più lento lascia che a lavorare e ad esporsi sia solo il “direttore”.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata