La prima parte del nuovo libro di Sándor Màrai offerto da Adelphi, Il sangue di san Gennaro (pagine 352, euro 19), si legge con crescente entusiasmo. È incredibile come uno scrittore ungherese (Márai, esule dall'oppressione sovietica, soggiornò a Napoli dal 1948 al 1952) abbia saputo penetrare a fondo nella mentalità partenopea, restituendo in parole quella temperie di aristocrazia e di miseria, di eleganza e di ozio, di contemplazione e di solidarietà. E questo carosello napoletano è di continuo attraversato da un'enigmatica coppia di stranieri che hanno evidentemente il pensiero altrove. E si sussurra che l'uomo sia uno che vuole redimere il mondo.
La seconda parte si apre con un'analisi, benevola ma senza sconti, della religiosità napoletana. «Fra tutte le possibili eventualità, il miracolo era per i napoletani la più verosimile»: questa è la chiave del romanzo, a cui si accompagna un grido, anche sociologico, sul crollo delle speranze. La salvezza non verrà neppure dall'emigrazione.
Poi, dopo una nottata di tempesta, un poliziotto reca una tremenda notizia alla straniera: il suo compagno giace sfracellato sulla spiaggia, dopo essere precipitato dallo strapiombo.
La terza parte inizia con il dialogo tra un tollerante vicequestore e il giovane agente che aveva redatto il primo verbale. Strani e misteriosi questi stranieri, ragiona il giovane, ci tengono moltissimo a che sui documenti figurino i loro nomi con tutti quegli strani accenti su vocali e consonanti delle loro lingue: evidentemente non poteva sapere quello che il curatore italiano del romanzo, Donato Sciacovielli, spiega nella postfazione, e cioè che la perdita dei segni diacritici (accenti, dieresi, cediglie, eccetera) sul proprio nome è, per l'esule, il segno dello sradicamento più lancinante, la trafittura della propria identità.
Viene poi la testimonianza del frate. Sì, si erano incontrati più volte. Lo straniero era uno scienziato, la donna era una sua collaboratrice che lo aveva voluto seguire nell'emigrazione, quando l'uomo non se l'era sentita di collaborare sia pure indirettamente col regime, disgustato anche dal comportamento dei colleghi (un giudizio così netto di condanna del comunismo spiega perché il romanzo di Márai, pubblicato in Germania nel 1957, veda la luce in Italia solo adesso). No, non era pazzo, lo straniero. Soffriva lo sradicamento dell'esule, di ogni esule: «Quando si lascia una patria, si lasciano tutte le parti possibili». E gli nacque quell'ossessione di redimere il mondo, ben sapendo che per redimere il mondo è necessario un sacrificio. Se la sentiva, il frate, di dissuaderlo? Il frate, turbato, non ne ebbe il coraggio.
La quarta parte del romanzo raccoglie la versione della straniera che, senza fede, si confida con un prete nel confessionale di una chiesa bombardata. Lo scienziato aveva chiesto a lei di ucciderlo, con certe vecchie fiale di morfina che erano sempre rimaste nel loro magro bagaglio. Lei si era rifiutata. Qualche tempo prima erano stati ad Assisi, sulle tracce di san Francesco, per respirare l'aura di colui che aveva cercato di redimere il mondo, riuscendoci in parte. Era stata un'esperienza esaltante, come un loro casto viaggio di nozze. Poi avevano assistito al miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro. Márai è assolutamente magistrale nel descrivere gli aspetti devozionali e folkloristici della cerimonia, e lo fa con profonda conoscenza delle procedure e con rispetto del mistero racchiuso nell'evento che puntualmente si verifica. Quella notte stessa ci fu quel tremendo temporale e, al mattino, la tragedia. Ma non è chiaro se lo straniero si sia buttato dal precipizio: forse si era appoggiato alla balaustra, così fragile in quel punto; o forse era stato risucchiato dalla tempesta.
Nell'ultima pagina di questo romanzo terribile e immenso, Márai dà brevemente la parola al Vesuvio, al mare, al vento: alle potenze cosmiche, con la loro energia e con il loro segreto chiuso per sempre.
Il 21 (o forse il 22) febbraio 1989, a San Diego, in California, Márai si uccise con un colpo di pistola, a circa tre anni dalla morte dell'amatissima moglie. Aveva 89 anni.
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