Il fondo è bianco, evoca l’infinito, due alberelli definiscono la scena: un giovane si tuffa da una costruzione di blocchi squadrati, verso uno specchio d’acqua. Siamo a Paestum, vicino al mare e accanto a bufale che brucano l’erba, e che producono la migliore mozzarella di sempre. La pittura appare netta, nella luce meridionale limpidissima, come un sogno in un film di Kurosawa.
Il giovane si stacca da un trampolino: un tuffo impeccabile, reso con una linea agilissima e nervosa. È una delle grandi opere pittoriche di tutti i tempi, forse la prima pittura greca non vascolare giunta fino a noi, risalente a un autore magnogreco, datata tra il 480 e il 470. È la Tomba del tuffatore, così la battezzò l’uomo che la scoprì, nel 1968, il grande archeologo Mario Napoli. Lo specchio d’acqua verde-azzurra è il mare: «Uno specchio d’acqua - scrive Napoli - sentito e reso come l’aperto mare e che si distende verso l’infinito dell’orizzonte». Lì si lancia il giovane tuffatore. E questa meravigliosa pittura che incanta il turista come un sogno del mattino, magico e lucidissimo, presenta, scrive lo scopritore, «il transito dell’anima verso la vita ultraterrena. Un tuffo verso l’aldilà». Una pittura meravigliosa e la visione di un viaggio della nostra anima. A Paestum, luogo predestinato.
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