Fuori
giovedì 1 agosto 2024
«E io non prego solo per me stessa ma per tutti quelli che erano con me». Sono versi della poeta russa Anna Ahmatova e ricordano la fila dei parenti dei prigionieri in attesa davanti al portone del carcere di Leningrado. Lei aveva un figlio rinchiuso là dentro. Le attese potevano durare tutto il tempo destinato alla visita, perché senza un motivo non si veniva ammessi. La fila congelata dall’inverno aspettava muta. In memoria di quella folla Anna scrive il poema Requiem dal quale ho preso i versi. Li ho trascritti in reazione e relazione alle cronache dei suicidi in carceri italiane, numeri che restano numeri, non diventano persone. Chi sono, chi li aspetta o non li aspetta fuori, lasciano o non lasciano un biglietto: niente. I suicidi nelle prigioni italiane sono diventati effetti collaterali della pena, quota assegnata alla disperazione. È più difficile da commettere in carcere il suicidio, per scarsità di mezzi a disposizione. In molti casi c’erano precedenti tentativi. Fuori dalla prigione di Leningrado c’erano parenti. Fuori delle prigioni dei suicidi c’era qualcuno? E alla loro sepoltura? Non sono un giornalista, sono un lettore di giornali. Leggerei con intensa attenzione la cronaca di una sola di queste persone anonime, il racconto di chi era, di chi c’era se c’era a salutarla. Ogni vita umana al mondo ha diritto a una formula di addio. © riproduzione riservata
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