Lupus in licenza, come non avesse pseudonimo. Vent'anni dalla morte di Franco Rodano. Ieri sul "Manifesto" Valentino Parlato, distante ed agrodolce: "L'utopia di Rodano". Nei giorni precedenti su questo giornale Massimo De Angelis aveva trattato del suo pensiero politico e filosofico. "L'Unità" di lunedì, prima pagina e due intere all'interno, quattro articoli. Il card. Achille Silvestrini elogia "l'uomo di grande fede", e il figlio Giaime ne difende l'umanità serena: "Non era austero, aveva la passione per la vita". Ottimo, e lì un po' risarcitorio. Qui conferma sulla fede e passione per la vita. Quindici anni di conoscenza vera alla luce semplice delle ricorrenze liturgiche della vita cristiana comune. Al di là e al di sopra di tutto si sentiva la sua fede in Cristo e la sua fedeltà - libera e responsabile anche quando difficile - alla Chiesa cattolica. Vero credente e vero laico, senza confusione alcuna. Ai preti chiedeva di essere preti, ai teologi di essere teologi, alla Chiesa di essere Chiesa. Si interessava di teologia autentica: grazia e libertà, natura e soprannatura, peccato originale e colpe personali, Chiesa della fede e Chiesa della storia, infallibilità dottrinale e limiti/errori nella vita storica della comunità, insegnamenti sociali e verità eterne"Ha messo insieme libertà vera e obbedienza cristiana, anche in condizioni di sofferenza personale vissuta con limpida coerenza. Per lui hanno coniato un aggettivo spesso usato come insulto, "cattocomunista". Così è un ossimoro, e una contraddizione in termini. E lui contraddittorio non lo è mai stato, nel suo pensiero e nella sua vita, fino alla fine. Il ricordo è grato.
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