giovedì 4 maggio 2023
Era tanto che volevo tornarci. Ci ero andata da bambina, con mio padre, che era di Parma. Me ne restava un ricordo confuso di marmi rosa e angeli, e santi: semplicemente pietra e luce. C’è voluto che un figlio passasse da Parma, e del Duomo e del Battistero si innamorasse, mandandoci sullo smartphone decine di foto, per farmi ricordare che nella vita ci sono le cose urgenti e improcrastinabili, ma ci sono anche quelle apparentemente meno importanti, e che però devi fare. E rimandi, e rimandi – e il tempo si fa breve. Allora l’altra mattina, andando con mio marito a Bologna, poco prima del casello di Parma d’improvviso, quasi prepotente, ho detto: ci mettiamo un’ora, andiamo. Ed era il 1 maggio, le nove e qualcosa, piovigginava, nessuno ancora in giro. Conosco poco Parma, ma abbastanza da ritrovare i portici oscuri della Pilotta, e l’ampia piazza, immediatamente dopo, colma di luce. Due passi ancora, ed ecco, come un gioiello dimenticato per terra, il Duomo. Accanto, il Battistero di Benedetto Antelami, anno 1196. Entriamo per primi, appena apre, e per qualche minuto è tutta per noi questa bellezza. Alziamo gli occhi alla cupola, li abbassiamo, intimiditi. L’Antico Testamento e il Nuovo tutti dipinti lassù: da Abramo a Cristo, al Giudizio. All’Empireo, nella sommità della cupola, l’ultimo cielo: che è di un rosso profondo – come un grande amore. Ottagonale il Battistero, ottagonale la vasca battesimale di marmo rosa, nuda, al centro. Il numero otto torna e ritorna, perché? L’ottavo giorno, l’ottavo cielo, e quindi il giorno oltre, il giorno ultimo, la vita eterna. Parlava una lingua il Medioevo che a noi è difficile decifrare, e tuttavia intuisci, come un idioma imparato e dimenticato. Se rimanessi qui zitta, sola, a guardare, quanti altri segni coglieresti, nei sei certa, in questa moltitudine di creature del cielo. E della terra: leoni, draghi, cavalli, uccelli – tutti insieme popolano il Battistero di Parma, come appena scesi da un’arca di Noè, in un evo primordiale. Il leone, lo so, è Cristo (due monumentali leoni vegliano il portone del Duomo). E quelle chimere, grifoni, basilischi, ben 75 formelle tutto attorno al perimetro ottagonale, chi erano, chi sono? Sogno e mito e leggenda scolpite nel marmo, così che restassero: e sono qui, mille anni dopo. Quali cose facevano, di cosa erano capaci gli uomini dell’anno Milleduecento, senza tecnologia, senza macchine, con le mani e la forza delle braccia soltanto. Uomini o giganti, impastati fino al midollo, magari anche controvoglia, di cristianesimo? Ma l’incontro di questa mattina è il faccia a faccia con i Mesi e le Stagioni di Antelami, in occasione di una straordinaria mostra calati a terra dalle loro nicchie elevate: così che li puoi osservare nei minimi particolari. Il ciclo solenne del lavoro nei campi, descritto come in un eterno poema. C’è Marzo fanciullo, e la Primavera, giovane feconda regina. C’è l’Inverno, un vecchio che ha alle spalle rami secchi da un lato, e verdi dall’altro. La vita che finisce ma ricomincia nei figli e nei loro figli, ancora. (Davanti a questo Inverno mi fermo a lungo, assorta). C’è la fatica del lavoro nel Battistero di Parma, e la vita che semina, raccoglie, falcia, muore, rinasce: ma in Cristo, oggi e poi in quell’Ottavo giorno, salvata dalla morte. Papà, tu questi volti di pietra li vedevi da bambino, per mano a tua madre. E poi hai tanto viaggiato il mondo, in lungo e in largo, come cercando qualcosa che non trovavi. Era tutto qui, sai, nel Battistero della tua città, era già tutto qui, nella piazza della tua infanzia. Esco e – è tardi, dobbiamo correre via – lascio una carezza ai due leoni che custodiscono il Duomo. (Ne sono certa, papà, lo hai fatto mille volte questo gesto tu, da bambino). © riproduzione riservata
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