lunedì 1 settembre 2003
 Dio è morto, ma non troppo». Un titolo così nicciano (La Stampa, venerdì 29, pagina della cultura) può essere una trovata, ma è doppiamente privo di senso e nemmeno dà un"idea del lungo articolo di Gianni Vattimo, cui ha egregiamente replicato ieri, su Avvenire, Vittorio Morero. Aggiungo solo due brevi note. Vattimo comincia affrontando due «discorsi tra loro diversissimi», anche se entrambi attuali: la «necessità o meno di includere un"allusione a Dio nel preambolo della costituzione europea» e la «nuova presa di posizione dell"ex Santo Uffizio sulla questione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso».Le due questioni non sono «diversissime». Tacere su Dio nella Carta della Ue (ma l"esigenza è di un aggancio alle radici cristiane dell"Europa, cioè a un dato storico e culturale e, dunque, "laico") può anche non avere il significato di una sua negazione, ma soltanto quello di evitare una scelta religiosa e, quindi, di parte. Invece la legittimazione dell"unione civile che piace a Vattimo, costituirebbe un"esplicita affermazione di ateismo e, perciò, non già un"affermazione di laicità dello Stato o della Unione, ma il contrario. Secondo le radici culturali cristiane, la diversità tra maschio e femmina (e, dunque, la coppia coniugale che riunifica i diversi) è costitutiva della somiglianza dell"uomo a Dio. Assai più che una questione di morale sessuale o di rispetto di una legge divina, il "matrimonio" (o comunque lo si chiami) tra due uguali diventa la falsificazione dell"immagine di Dio e, quindi, la sua negazione.In questo caso la Ue assumerebbe una colorazione non più laica né rispettosa delle sue fedi storiche, ma decisamente, anticristiana, antigiudaica e antislamica. Un brutto inizio per un"Europa laica.
LE PAROLE DELL"ODIOFa un effetto deprimente la lettura, su molti quotidiani, dei titoli dedicati alla tragedia di Rozzano: «Il paese chiede vendetta» (La Repubblica, martedì 26); «Preso il killer di Rozzano: "Ora lo vogliamo morto"» (Il Giornale); «"Doveva spararsi, perché tanto morirà". Una delle vedove: "Vado a casa a brindare, in carcere sapranno punirlo"» (Il Messaggero); «I forcaioli: "Dovremmo impiccarlo noi. Adesso ci tocca aspettare il carcere, dove per fortuna c"è un codice di onore"» (La Stampa). Mi chiedo il perché di questa insistenza sugli aspetti più brutali di certe reazioni che potrebbero essere spiegate dalla immediatezza e dall"emozione, quando la realtà della comunità civica di Rozzano non è un far west lombardo. Lo stesso martedì 26 Avvenire ha scoperto che «anche tra le strade dell""inferno" ci sono gli angeli» (Marina Corradi). Il Corriere della sera non ha trovato una sola parola di odio sulla bocca di Loredana, la mamma di Seby, né su quella dello zio materno. E perfino La Stampa, il giorno dopo, ha trovato a Rozzano «qualche spiraglio di ragionevolezza nell"ira che percorre le sue strade e le sue case».Davvero fa notizia soltanto il male?
RIFONDAZIONE UMORISTICALettera, con relativo titolo a tutta pagina, su Liberazione (martedì 26), quotidiano del Prc: «Quando esisteva l"Urss, il mondo era migliore».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: