È cominciata l'estate e a quanto pare l'Italia continua a mietere consensi, finanche nelle città d'arte dove spesso regna una certa confusione, con un'esagerata offerta di cose da mangiare, più o meno buone. E viene il dubbio che la liberalizzazione delle licenze, tutto sommato, non sia stata una grande idea...
Ma tant'è. A Roma è decisamente bello poter mangiare fuori al fresco della sera, ma non si capisce perché in una via ci siano i dehors e in quella a fianco no. Anzi, uno dei miei ristoranti preferiti aveva un dehors misurato, elegante, poi per una strana storia di burocrazia gli è stato revocato il permesso. Al che il business è crollato del 40% e la titolare ha dovuto lasciare a casa 5 persone. Pare che in questa situazione un po' paradossale siano finiti altri 510 esercizi della Capitale, che d'un tratto vedono i locali concorrenti della via a fianco riempirsi, perché dotati di dehors, e i loro svuotarsi.
Certo una via di fuga c'è: l'abusivismo, col paradosso che il provvedimento del 2010 riguardante il Piano di massima occupabilità era nato proprio per debellare i dehors abusivi. Nelle pieghe delle medesime norme esiste poi un altro paradosso: se il titolare della licenza muore, gli eredi devono rifare tutto daccapo per riottenere la licenza. Quindi produrre un progetto col geometra, aspettare una risposta che non arriva mai con tempestività, per scoprire che nel frattempo sei abusivo.
I piani comunali di occupazione pubblica erano 156, ma in 8 anni pare ne siano stati approvati solo due terzi. Se poi decidi di far ricorso al Tar, come è accaduto alla titolare di quel locale, passano gli anni prima di ricevere risposta. E nel frattempo le spese salgono (avvocati, bolli, scartoffie) accanto ai mancati guadagni e allo spettro di un possibile fallimento. Questa è la situazione nel Paese dove la certezza del diritto sembra relativa e dove i controlli o non vengono fatti per mancanza di personale oppure accadono con atteggiamento vessatorio, secondo la legge mai scritta del colpirne uno per educarne cento.
Dovremmo chiederci se davvero riteniamo che la cucina, il gusto, l'enogastronomia in generale siano per il Paese una risorsa che incentiva il turismo. Se così è, per quale motivo questa risorsa deve vivere nel disordine e nell'incertezza? Il disordine, figlio di una liberalizzazione che non ha considerato il merito, si può correggere; l'incertezza invece si deve evitare, a cominciare dalle risposte in tempi adeguati. Anzi, nelle prossime leggi sarebbe giusto applicare anche una norma all'incontrario: se entro un certo tempo la pubblica amministrazione non agisce, il provvedimento è nullo. Ricomincino daccapo loro, una volta tanto.
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