Il Salmo trentatre al verso nove annuncia una sintesi fulminante: «Poiché lui ha detto, ed è stato (avvenuto)». Non è previsione di qualcosa, ma fatto compiuto all’istante. Il verbo dire della divinità assegna questo potere enorme alla parola: diventare ciò che è pronunciato. Nel prologo dell’Enrico V, Shakespeare attraverso il coro dichiara agli spettatori i propri limiti e chiede il loro aiuto: «Fate di un uomo mille, createvi di fantasia un esercito poderoso, se noi diciamo “cavalli” figuratevi cavalli veri e vedeteli stampare coi loro zoccoli orgogliosamente le loro impronte sopra il molle suolo… riducendo a un’ora di clessidra il passaggio di molti anni». Qui le parole dette sul piccolo recinto di un palco chiedono di trasformarsi in visioni per chi è seduto in sala. È potenza minore di quella annunciata dal Salmo dove il dire è subito realtà, fatto compiuto. È potenza minore quella del teatro, eppure altrettanto capace di coinvolgere, suscitando immagini e sentimenti. Mi capita di salire su una pedana, prendere la parola per rivolgerla a chi è presente. Ne sento il peso in questa frase dello scrittore argentino Borges: «Nessuno è il sale della terra. Ognuno in qualche momento della sua vita lo è».
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