Tapum, tapum. Domani si va all'assalto, soldatino non farti ammazzar... tapum tapum... e le nostre piccole mani battevano sul tavolino di ferro, che il papà aveva tinto di rosso, dove le sere d'estate ci insegnava a cantare. La grande guerra era finita da anni, la nostra terra trentina ne conservava le ferite. Le donne non potevano dimenticare la voce profonda del cannone che si trascinava nell'aria per un tempo che sembrava non finire, nei piccoli cimiteri già nascosti di boschi. Era stato il deputato del Partito popolare De Gasperi, a proporre di creare un ossario nelle montagne a ricordo di tutti i giovani che la guerra aveva condotto a morire: «Migliaia e migliaia di uomini con fatica tenace e sanguinosa, venuti dalla Galizia, dalla Baviera... avevano scavato caverne, accatastato massi per lanciarsi poi addosso enormi masse di ferro, modellato in pallottole o in granate o in shrapnel o in mine. Certo quando gli uomini stavano lassù anche la bellezza congiunta all'eroismo e all'amore della patria era loro compagna e diffondeva attorno a queste rupi contrastate come un'aureola di gloria. Ma quando questa landa venne abbandonata dagli uomini vivi, non rimasero che impronte di morte, il solo orrore della guerra non attenuato dalla virtù degli animi... Usciti fuori attraverso il tunnel della trincea sulla cresta della montagna eccovi su una piana seminata da pietra e di migliaia di schegge di granate. Ferro e porfido, piombo e ghiaia nerastra sotto i raggi di un sole cocente... Nell'ultima trincea giacciono ancora brandelli di alcuni cadaveri. Uno scheletro a pochi passi vi sembra ancora un alpino disteso col fucile in atto di sparare, ma appressandovi vi accorgete che nell'elmetto non c'è che un teschio bianco... Basta gridai gettandomi entro il magro bosco di cirmi, basta!».
De Gasperi propose alle autorità locali di costruire un ossario dove venissero raccolti insieme ai resti dei soldati italiani anche quelli degli eserciti che li avevano combattuti perché oltre la tomba non vive ira nemica. Il suo discorso finiva con queste parole: «Una nuova vita dovrà sorgere sulle rovine, e sarà il mondo della fratellanza dei popoli e della libertà delle nazioni».
Ma passarono altri vent'anni, una dittatura, una nuova guerra feroce, prima che le sue parole potessero dare inizio a una nuova collaborazione tra i popoli d'Europa. Devo la scelta di questo vecchio scritto di mio padre alla lettura interessante e davvero moderna che Aldo Cazzullo ci offre in questi giorni in una nuova edizione del suo volume La guerra dei nostri nonni. Scrivere di guerra, di dolore, di morte con penna leggera lasciando ai testimoni il ricordo di quei giovani che avevano ucciso solo per dovere e per difesa, ci ricorda che le guerre non portano soluzioni di pace, ma finiscono quando l'animo umano non sopporta più la forza dell'odio e l'odore del sangue.
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