Non solo Leonardo da Vinci. Prima di tutti e al di sopra di tutti c'è senz'altro lui, certo, ma non lui e basta. Perché questo 2019 non coincide soltanto con il mezzo millennio dalla morte del genio toscano, che tutto il mondo, Europa in testa, sta celebrando da mesi, in particolare a partire dal 2 maggio scorso. Tra il 5 settembre e il 4 ottobre prossimi cadono infatti altri due anniversari "tondi" di altrettanti "euromaestri", che meritano anch'essi una memoria adeguata – e perché no, unitaria – da parte del Continente dove sono nati. La prima data corrisponde ai 450 anni dalla scomparsa di Pieter Bruegel il Vecchio, la seconda al 350° della morte di Rembrandt.
Del primo, straordinario artista fiammingo capostipite di una famiglia feconda di pittori, conserviamo tutti nel nostro immaginario visivo, magari senza rammentare il nome dell'autore, un po' ostico e neppure ortograficamente condiviso, la suggestione di opere straordinarie: la Torre di Babele, il Matrimonio contadino, il Censimento a Betlemme, i Giochi di bambini, i Cacciatori nella neve. Capolavori assoluti, che completano nel loro realismo e nell'attenzione all'anima e al vissuto
popolare la grande rivoluzione pittorica del Rinascimento europeo.
Esattamente un secolo dopo Bruegel, lasciava questa terra il più grande artista di quell'Olanda da poco affrancata dalla dominazione spagnola, di cui Rembrandt Harmenszooon v Rijn, più semplicemente Rembrandt, incarna perfettamente l'epoca d'oro in Europa, sia sul piano politico che economico e commerciale. Il genio di Leida è da qualche giorno anche al centro dell'attenzione mediatica, essendo iniziato presso il Rijksmuseum di Amsterdam il restauro-show del suo capolavoro, la Ronda di notte, che potrà anche essere seguito online come un reality.
È chiaro che tantissimi momenti celebrativi ed eventi nel nome dei tre grandi Maestri, anche di grande impatto internazionale, sono già partiti (qualcuno si è pure concluso) o stanno per aprirsi, da parte di istituzioni museali, di accademie e di enti pubblici responsabili delle politiche culturali nazionali. Quello che non emerge, probabilmente perché non esiste (ma sarebbe bello venire smentiti), è una forte iniziativa unitaria, che leghi i tre anniversari, nel nome della loro comune appartenenza alla tradizione storico-artistica dell'intero Continente.
Non sarà un caso se, aldilà delle vicende belliche e statuali degli ultimi secoli, che hanno provocato di volta in volta trasferimenti e più spesso razzie di capolavori, molti grandi artisti hanno seminato le loro opere in diversi Paesi. Ciò è sicuramente vero per il grande Leonardo, morto sulla Loira dopo aver trascorso gli ultimi tre anni della sua vita alla corte del re di Francia (sembra, in proposito, che una buona parte della pubblicistica transalpina lo definisca sistematicamente come "franco-italien"!).
Ma vale anche per Bruegel, che ha trascorso anche un buon biennio in Italia, lasciando mirabili tracce del suo passaggio anche a Napoli e sullo Stretto di Messina. Vale meno per Rembrandt, che tuttavia, come è noto, si è abbeverato a lungo alla fonte pittorica di Caravaggio prima di distaccarsene e dar vita al suo inconfondibile stile "luminista". Quello che ha prodotto, fra gli altri, lo stupendo Ritorno del Figliol prodigo conservato all'Ermitage
di San Pietroburgo.
Viviamo tempi di scarsa simpatia per l'ideale comunitario. Anche la recente intesa sulle nomine per i vertici Ue, che ha impegnato i capi di governo in interminabili maratone negoziali, ha fatto pensare che ormai l'unica cosa importante è spartirsi poltrone. Perché non sfruttare le buone occasioni che il calendario offre, per risvegliare un po' di sano european pride?
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