Poetessa e scrittrice, Curzia Ferrari ha dato alle stampe certi suoi appunti degli anni 1968-1974 intitolandoli L'ossessione delle Brigate Rosse (Gammarò edizioni, pagine 156, euro 16,00). Perché ossessione? Se lo è chiesto anche Dario Fertilio nella prefazione, rievocando «quell'empatia di massa che travolse allora le giovani generazioni d'Occidente, e di rimbalzo quelle più mature. E che si comunicava in modi non soltanto verbali: la convinzione di marciare a fianco a fianco nella direzione giusta della storia, l'identificazione carismatica con i nuovi leader, gli slogan minacciosi, gli eskimo…». Un brutto sogno, un incubo? Forse sì, ma un sogno, un incubo che ha fatto scorrere sangue vero, ha tenuto in scacco più di una generazione col ricatto della paura. E non ci sono state soltanto le vittime delle rapine (degli “espropri proletari”), dei sequestri, degli attentati… È stata una semina di odio, di violenza che si è accanita su persone che stavano facendo il loro lavoro e, in particolare, su poliziotti, carabinieri, secondini, i sacrifici dei quali vengono tuttora passati sotto silenzio anche dai giornali. Curzia Ferrari, invece, non li dimentica, e sa trovare parole giuste come queste: «La guerra al poliziotto, alla sua credibilità politico-morale e alla sua incolumità fisica, è uno dei cardini della sovversione e non da adesso. Ma se la polizia di un tempo, che batteva i tacchi sui mattoni dei vicoli napoleonici e davanti alle corti ombreggiate di glicini attingeva a ceti medi e borghesi, se la polizia di Mussolini assoldò delinquenti e sbandati di ogni risma, quella dei nostri giorni è composta dai figli dei contadini e degli operai, proprio da quel proletariato che l'ultrasinistra dice di voler difendere». La lotta allo Stato è stata accompagnata da un rovesciamento di ruoli. Emblematico il caso di Giangiacomo Feltrinelli, risibile e grottesco ancorché tragico. Il ricchissimo finanziatore delle Brigate Rosse non si lavava perché le sue mani sporche somigliassero alle mani scure degli operai, vestiva da guerrigliero e quando passò all'azione per far saltare un traliccio dell'Enel, fu lui maldestramente a saltare in aria. Scrive Curzia Ferrari: «Feltrinelli ha incarnato nella storia del terrorismo il regresso irrazionale, l'infantilismo e una forma di violenza che finisce per rafforzare i cardini dello sfruttamento capitalistico». E ancora: «Nella sua lucida follia non sognava di elevare la povera gente ma di farsi lui medesimo uno di loro. Un classismo alla rovescia, insomma. Per frustrazione, per un'avventura innaturale del sangue che lo ha sprofondato nei gorghi dell'epica, mentre forse era soltanto a caccia di emozioni primordiali». Oltre a Feltrinelli, la figura di spicco nel libro è Marco Pisetta che con i suoi ampi memoriali, redatti in uno stile troppo forbito per essere farina di un semplice elettricista come lui era (pare di fosse la mano dei Servizi), fu considerato un infiltrato dai brigatisti che gli diedero invano la caccia. Gli appunti di Curzia Ferrari preludevano a un romanzo che non fu scritto. Ma restano una testimonianza dell'ossessione di quegli anni e un'originale prova letteraria.
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