sabato 14 gennaio 2017
L'Italia non è un Paese per giovani. Nonostante il tramonto in politica della gerontocrazia – grazie ai due Governi dei quarantenni guidati da Renzi e Letta – e nonostante il Jobs Act, riforma anche a mio parere importante e positiva del mercato del lavoro, una parte sempre più ampia della "meglio gioventù" italiana decide oggi di lasciare il Paese.
Subito dopo la laurea. Lo rivela l'Istat: nel 2015 (ultima rilevazione disponibile) la percentuale dei laureati che lasciano l'Italia dopo l'università è raddoppiata rispetto a 4 anni prima. E si tratta dei migliori: vanno via soprattutto i laureati con 110 in materie scientifiche, quelli che dovrebbero arricchire i laboratori italiani con le loro competenze e la loro capacità d'innovazione.
Questo identikit ribalta clamorosamente, ahinoi, l'ormai celebre intemerata sui cervelli in fuga del Ministro Poletti. Il ministro ha successivamente chiarito, scusandosi per le sue infelici affermazioni. Ma un dato oggettivo rimane: nella battaglia contro l'emorragìa di (potenziale) classe dirigente, l'Italia non riesce a dotarsi di armi adeguate. Se i piani (con relativi incentivi) per il rientro dei cervelli fuggiti sono sostanzialmente falliti, lo stesso può dirsi delle strategie di rilancio della ricerca pubblica, mentre le nuove politiche di incentivazione dell'innovazione nelle aziende avranno bisogno di continuità e potranno produrre effetti solo a medio termine.
Nel frattempo, il Sistema Paese continua a offrire ai suoi giovani meno opportunità di qualità rispetto agli altri Paesi avanzati. Lo sottolinea uno studio pubblicato di recente da LaVoce.info: nella comparazione (a parità di titolo di studio e di professione intrapresa) tra chi emigra e chi resta, i primi guadagnano il 36 per cento in più dei secondi, svolgono in media lavori più qualificati e percepiscono di avere migliori opportunità di carriera.
Il dato economico, tuttavia, non basta a spiegare la fuga. Ciò che accomuna davvero chi decide di lasciare l'Italia è l'esigenza di vivere in comunità professionali nelle quali merito e competenze siano valorizzati, a scapito di raccomandazioni e burocrazia. Perché la vera "riforma" che potrebbe ribaltare il destino dei giovani italiani non va ricercata nei bilanci dello Stato, ma nelle nostre teste. Facendo vincere stabilmente la conoscenza sulle conoscenze.
@FFDelzio
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