Mi faccio coraggio e provo a recensire in breve, incapace di altro, le poesie di uno dei maggiori poeti cinesi, vissuto nel XII secolo, negli anni che separano la vita di san Francesco da quella di Dante. Per la prima volta pubblicate in Italia, le poesie Yang Wanli si possono leggere ora nell'antologia La contrada natale dei sogni a cura di Paolo Morelli (Quodlibet, pagine 256, euro 18,00). Il testo cinese a fronte non è solo una squisitezza editoriale, ma anche implicito incoraggiamento alla conoscenza della lingua e della cultura della Cina. La globalizzazione ha reso il mondo più piccolo e le comunicazioni più rapide. Il che non significa che si sia diffusa una maggiore comprensione e accettazione delle diverse culture. Senza dubbio quella cinese è una delle civiltà del pianeta più antiche e complesse, nonché, per noi, più difficili da interpretare. A cominciare dal fatto che ha realizzato l'allarmante paradosso di essere un capitalismo avanzatissimo governato da un regime che si dichiara comunista. Altro elemento, perfino più inusuale per noi, è che i pilastri della tradizione cinese, confucianesimo, taoismo e buddismo, non sono religioni ma filosofie di netta impronta pratica. Gli strettissimi legami sociali e famigliari (confuciani) vengono bilanciati in Cina da un non meno forte culto (taoista) della Natura, della sua presenza, delle sue leggi e dei suoi misteri. L'antologia è accompagnata da un'interessante postfazione di Morelli che si sofferma sulla sua esperienza e sui criteri adottati nel tradurre. Il cinese è una lingua molto laconica: ogni ideogramma «ha una tale densità di senso da richiedere una perifrasi se non una intera frase», per cui tradurre significa passare attraverso «una qualche trasposizione inventiva». E questo forse può andare bene soprattutto perché Yang Wanli è considerato un “poeta colloquiale”. Un certo metodo taoista si nota nell'abile uso della spontaneità, arte che nasconde l'arte, o la supera in una sempre nuova riconquista della naturalezza. Rare o assenti le metafore immaginifiche. Prevalgono l'immediatezza e la purezza delle percezioni fisiche. Ma non si tratta di descrizioni veriste, quanto di visioni illuminate, come a volte accade nei madrigali di Tasso, o negli idilli di Leopardi, o in certi folgoranti epigrammi paesaggistici di Goethe e di Hölderlin. Ecco, nella sezione “Chiedo udienza al cielo”, la voce di Yang Wanli: «me ne sto seduto a guardare, il sole cala dietro la riga del lago, / né montagne o nuvole a celarlo / s'abbassa pollice a pollice di botto fino a sparire del tutto, / l'ho ben visto entrare in acqua senza lasciare traccia».
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