Nelle strade sgangherate a ridosso dell’Ucciardone, fra bracerie e fruttivendoli, darsene e benzinai, là dove Palermo non sa trattenere la sua natura intimamente alessandrina, mi capitò di camminare in una delle giornate più calde dell’anno, quando pochi sfidavano la sorte uscendo prima del tramonto. Saltavo da un marciapiedi all’altro superando di slancio sassi e buche alla ricerca di qualcosa da mangiare. Giunto in Via del Pellegrino entrai d’istinto in una rosticceria gestita da un bengalese che vendeva soltanto pollo e patate. Il forno era in piena funzione. Nessuno si azzardava a restare troppo a lungo all’interno del negozio: l’altissima temperatura lo impediva; eppure una bambina cinese, in attesa davanti alla cassa, non faceva una piega. La frangetta le cadeva perfetta sulla fronte nonostante il tasso di umidità davvero terrificante. Trascorsero almeno dieci minuti, poi venne servita. Io, a due passi, fui chiamato immediatamente dopo. La mia attenzione era tutta rivolta al giovane impegnato nelle operazioni di cucina. I clienti contavano i secondi nella speranza di poter scappare fuori al più presto. Lui trafficava, inesausto e imperturbabile, alla sorgente infuocata del calore: regolava la cottura, tagliava i pezzi di carne, li confezionava, riscuoteva e ricominciava.
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