È men male agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
C'è una battuta curiosa e provocatoria di quella penna sarcastica ma intelligente che fu il giornalista e scrittore Ennio Flaiano: «Certo, certissimo, anzi probabile». Con questo paradosso egli colpiva un atteggiamento tipico dei nostri giorni nei quali il confine tra verità, probabilità e persino falsità è molto labile. L'oscillazione del pendolo della certezza non ha più leggi precise ma si muove secondo gli impulsi che gli vengono impressi dalle mani di molti manovratori. È per questo che spesso si è sospettosi di tutto oppure si beve ogni panzana, purché in entrambi i casi ci sia un abile pubblicitario capace di influenzare e condizionare i pareri.
Criticato quanto è necessario il dubbio che mescola e falsifica le carte della verità, bisogna però spezzare anche una lancia a suo favore. Lo faccio con la citazione sopra proposta che è desunta da un'opera minore di Alessandro Manzoni, La storia della colonna infame, un saggio sulle vicende della peste di Milano posto in appendice alla seconda edizione dei Promessi Sposi. Il monito del grande lombardo è icastico e bolla impietosamente quell'apparente pace e quella falsa certezza che è generata dall'ignoranza. L'insipienza, infatti, non conosce l'inquietudine della ricerca, si accontenta della battuta e dell'ovvio, ama i luoghi comuni e non sospetta che al di là della propria visuale ristretta ci sia un vasto orizzonte da esplorare. Per questo ogni dubbio le è estraneo, ma non per evitare il gusto di mettere in questione la realtà, bensì per l'illusione di possedere già tutta la verità. In questo caso la scossa dell'interrogativo sarebbe benefica.
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