Moby Dick è un mito. L’immensa balena bianca, il Leviatano, potente e misterioso sovrano del Pacifico, rappresenta il mondo sconosciuto, il mistero del mare che è l’origine della vita e depositario dei suoi segreti. Il capolavoro di Herman Melville è il romanzo-poema sul mito dell’uomo contro il mistero del mare, della storia contro l’immemoriale. Ma anche Achab, l’implacabile cacciatore della balena, si rivela un mito: entrerà in quella sfera accanto a Ulisse, Amleto, Faustus, Elena, Didone. Moby Dick è anche la storia della caccia alle balene, del dominio dell’essere umano sulle acque del Pacifico e del suo dominio sui mari. L’età delle baleniere, culmine di un’epopea di conquista da parte dell’uomo di tutta la terra e il mare. Le ragioni che muovono la caccia ai cetacei non sono più quelle inconsce dei primi cacciatori, sostituite da quelle mercantili, dallo sfruttamento del “mostro” per il suo olio...Achab non è scalfito dalla ragione economica, in lui permane l’elemento primario e primordiale di quella caccia, il furore di affrontare l’ignoto, il mostro, il sacro nella sua forma urlante come drago o medusa. Achab non è uno sterminatore moderno sottomesso alla ragione del profitto, ma un cacciatore primordiale. Non è un mercificatore del mito, ma è un mito.
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