In un museo a Parigi, anni fa, ho assistito alla scena di un bambino spaventatissimo davanti a un quadro di Amedeo Modigliani. In nessun modo ricordo più quale fosse la tela esposta, solo rammento che a terrorizzarlo era il ritratto di una donna. «Ma non ci sono gli occhi!» il bambino ha esclamato nel silenzio della sala affollata di visitatori, l’acuta vocetta infantile incrinata nell’angoscia. I genitori premurosi lo hanno portato via, ma l’eco di quella domanda è rimasta intatta e ben distinta nella mia memoria, sonora, così legittima. Mai i volti dei soggetti nei quadri di Modigliani hanno occhi: sono cavità vuote, punti scuri in mezzo alle facce dentro i quali non è dato veder brillare il bagliore di uno sguardo, vivido, verosimile, vivace: che davvero guarda. Il tema esiste di per sé, se è vera e non leggendaria la frase pronunciata dal pittore: «Potrò dipingere gli occhi solo quando avrò visto l’anima».
Avrà detto davvero parole del genere, tanto enfatiche e apodittiche, Modigliani? Anima, i soggetti dei suoi quadri ne esprimono moltissima, disobbedendo al criterio enunciato dalla frase. Quelle cavità raccontano una fame di vivere che di per sé anima ne trasmette eccome. Non serve il luccicare umido degli occhi, per dire il vedere: ben altre tensioni e forme lo raccontano.