Quale icona più straziante di quella che ritrae una madre sofferente per la morte del figlio? Eppure quella che è di fatto una delle esperienze più laceranti per un essere umano nasconde un messaggio profetico: anche Dio è sceso nel nostro buio ed è lì che ci viene a cercare per riportarci alla luce. Non è la sofferenza, infatti, né sono le ferite e il dolore che definiscono la nostra identità, ma l'impronta dell'infinito amore che portiamo dentro e che nessun evento può oscurare. E l'immagine della Madonna sofferente accanto al figlio morto ci ricorda che la Vergine di Nazareth, oggi celebrata con il titolo di Addolorata, in quel momento venne "associata" alla passione di Gesù e all'opera di salvezza che si stava realizzando sul Golgota. E noi con lei. Il "sì" pronunciato all'arcangelo Gabriele la condusse non a una vita di privilegi, ma all'esperienza più dolorosa per una madre: agli occhi del mondo la perdita del figlio è la negazione assoluta della speranza. Ma la risurrezione completa il percorso e dona un senso nuovo alla sofferenza: la morte è vinta, il dolore apre all'infinito abbraccio di Dio. L'Addolorata è lì a dirci non solo che dopo la sofferenza troveremo la luce, ma anche che nel dolore nessuno è lasciato da solo. La memoria liturgica odierna, che ha origine nella devozione popolare, fu introdotta nel calendario liturgico romano da papa Pio VI nel 1814.
Altri santi. Sant'Albino di Lione, vescovo (IV-V sec.); santa Caterina Fieschi Adorno da Genova, vedova (1447-1510).
Letture. Romano. Eb 5,7-9; Sal 30; Gv 19,25-27.
Ambrosiano. 1Pt 4,1-11; Sal 72 (73); Lc 17,11-19.
Bizantino. Gal 3,23-4,5; Mt 10,16-22.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: