«Ci sono solo due industrie che chiamano i loro clienti user: quella delle droghe illegali e quella dei software». La citazione è attribuita a uno statistico americano, Edward Tufte e riporta immediatamente l’attenzione sulla dipendenza da social media, che rappresenta la notizia del giorno: negli Stati Uniti, la città di New York ha confermato di aver avviato una causa contro alcune delle più grandi società di social media, tra cui TikTok, Snapchat, Facebook, Instagram che fanno capo a Meta e YouTube che fa parte di Google LLC.
Nello specifico, le big tech vengono accusate di aver provocato danni alla salute mentale dei bambini e degli adolescenti e di aver «alimentato una crisi mentale tra i giovani su scala nazionale a livelli che non si erano mai visti». Il sindaco di New York, Eric Adams, aveva anticipato la causa a fine gennaio. «Negli ultimi dieci anni abbiamo visto quanto il mondo online possa esporre i nostri figli a un flusso continuo di contenuti dannosi e alimentare la crisi nazionale della salute mentale dei giovani», ha affermato Adams. Oltre alla città di New York, tra i querelanti ci sono anche il distretto scolastico e le istituzioni sanitarie, secondo le quali le società proprietarie hanno «consapevolmente progettato, sviluppato, prodotto, gestito, promosso, distribuito e commercializzato le loro piattaforme per attrarre e creare dipendenza, con una supervisione minima da parte dei genitori».
Il dibattito sui danni che provocano i social media negli Stati Uniti va avanti da mesi e aveva toccato il suo apice con la seduta al Congresso dello scorso 31 gennaio, che si era trasformata in una sorta di processo ai capi dei più grandi social network di tutto il mondo accusati di «rovinare vite umane». Ha senso chiedere politiche più cautelative verso i ragazzi e i bambini che utilizzano i social media? Assolutamente sì, ma è realistico riuscire a farlo? La risposta a questa seconda domanda deve tenere in considerazione questo numero stimato dai ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health: nel corso del 2022 solo negli Stati Uniti Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, X, ovvero l’ex Twitter e YouTube avevano ricavato complessivamente quasi 11 miliardi di dollari dalle entrate pubblicitarie somministrate ai quasi 50 milioni di giovani utenti, di età inferiore ai 18 anni, che rientrano fra le categorie più vulnerabili.
Dagli Usa all’Italia il dibattito sui social media e i minori sembra perdere, almeno in parte, quei toni da “caccia alle streghe”, Barbara Strappato, direttore della Prima divisione del servizio Polizia postale e delle comunicazioni chiede di utilizzare una scala amplissima di grigi per ragionare sui rischi che corrono i ragazzi sui social media, senza demonizzarli ma chiedendo piuttosto una partecipazione attiva e responsabile dei genitori e degli adulti di riferimento nel processo di educazione digitale dei figli e dei nipoti.
Sebbene un recente studio dell’Università Cattolica su “Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori” abbia confermato le evidenze di altre ricerche sulle esperienze negative nella Rete, non va sottovalutato che da quei dati sia emersa anche una maggior consapevolezza nell’utilizzo delle piattaforme digitali. «Il 94% dei minori tra gli 8 e 16 anni utilizza uno smartphone, tra gli intervistati il 68% ne possiede uno personale, il 28% l’ha ricevuto prima dei 10 anni e il 25% dopo gli 11 si legge nell’indagine -. Sette ragazzi su dieci tra gli 8 e i 10 anni usano regolarmente i social e le piattaforme streaming»: quest’uso precoce e poco guidato dai genitori certamente preoccupa, concorda Strappato, soprattutto perché si è abituati a pensare quasi esclusivamente che lo smartphone o gli ambienti digitali siano in qualche modo oggetto di una esperienza solipsistica. Al contrario, da questa indagine della Cattolica emerge che sui social ragazze e ragazzi cerchino una dimensione relazionale, anche se mediata.
«L’indagine ci mostra come i limiti di età imposti dalle piattaforme che sono di 13 e di 14 anni sia disatteso» continua la dirigente della Polizia postale che però parla anche delle buone interlocuzioni con le piattaforme che «sono collaborative e attente nell’eliminare contenuti di pedopornografia o di terrorismo». Sono presenti funzioni che limitano l’accesso per età, i controlli parentali, su TikTok anche un limite automatico di 60 minuti per gli utenti sotto i 18 anni e altro ancora. «Collaboriamo regolarmente con esperti per comprendere le migliori pratiche emergenti e continueremo a lavorare per mantenere la nostra community al sicuro affrontando le sfide a livello industriale» fa sapere un portavoce di TikTok.
Anche la dirigente Strappato cita come esempio uno strumento recente introdotto da TikTok per controllare il limite di età dichiarato dai suoi user: «Si basano sui video con i quali il profilo ha interagito per comprendere se l’età dichiarata corrisponda al vero. Al secondo tentativo di verifica, il profilo viene bloccato» prosegue la dirigente della Polizia postale, ammettendo che questo strumento come altri messi in campo dalle piattaforme stesse siano però misure parziali. «Dobbiamo lavorare con i genitori, con gli adulti di riferimento, con gli insegnanti e le scuole per far capire quali rischi esistono nell’utilizzo dei social per i più piccoli – prosegue il direttore della Prima divisione del servizio Polizia postale e delle comunicazioni –. Il vero problema è far capire ai genitori che devono stare sempre insieme ai figli quando utilizzano i social, perché la percezione del rischio è possibile soltanto con l’aumentare dell’età», in altre parole, per crescerli più consapevoli è fondamentale l’alleanza coi genitori, con le scuole, con chi si occupa della loro educazione digitale. Anche Davide Gallino, dirigente dell’Ufficio Alta Formazione - Agcom, tra i relatori alla presentazione della ricerca all’Università Cattolica di Milano, riconosce che questa consapevolezza nell’utilizzo dei social da parte dei ragazzi, «ci consente di dire che è opportuno continuare a promuovere progetti di formazione e educazione digitale».
Da tempo assieme a Google, a Meta, ma anche alla Rai e a Mediaset il Mimit, l’attuale ministero delle Imprese e del Made in Italy, lavora sul tema dell’alfabetizzazione digitale: a disposizione per il biennio 2022-2024 è stato messo 1 milione di euro all’anno. Investimenti fondamentali considerando che «gli adolescenti vivono immersi in un mondo in cui lo smartphone è il principale accesso a servizi, giochi, contatti con gli amici». Semplificando molto, rinunciare all'utilizzo delle tecnologie e dei social media non avrebbe senso: secondo Gallino anche le politiche restrittive di Meta che esplicitamente sta riducendo i post con contenuti politici, in un anno in cui ci saranno le elezioni europee e il voto presidenziale negli Usa, rischiano, comunque, di penalizzare l’attività e la partecipazione politica di milioni di persone nel mondo. In altre parole, le piattaforme social, con tutti i rischi connessi al loro utilizzo, ma anche le potenzialità che portano su di sé, vanno sfruttate con senso critico, tutelando la nostra privacy il più possibile e cogliendo le opportunità di conoscenza e incontro che pure esistono.